La Corte di Cassazione (sez. penale, sent. 22239/2011) sembra condividere l’attribuzione all’amministratore condominiale della qualità di datore di lavoro ai fini dell’applicazione delle norme antinfortunistiche.
La sentenza della Corte offre l’occasione per svolgere alcune riflessioni intorno alla tesi per la quale, in ambito condominiale, ai fini della tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, il datore di lavoro va identificato nell’amministratore.
Il compito del datore di lavoro è molteplice e articolato, e va dalla istruzione dei lavoratori sui rischi di determinati lavori, e dalla necessità di adottare certe misure di sicurezza, alla predisposizione di queste misure. Tali misure sono indispensabili per la salvaguardia dell’incolumità del lavoratore con riferimento all’attività lavorativa cui le specifiche misure sono riferibili.
La S.C. penale (sent. n. 22239/2011, Sez. IV), chiamata a pronunciarsi sulla responsabilità di un amministratore di condominio accusato della morte del custode, caduto nelle trombe delle scale durante le ordinarie operazioni di pulizia, ha ritenuto fondato il ricorso annullando con rinvio la sentenza del Tribunale di Roma. Il giudizio interpretativo della Corte si fonda sul principio che «la prospettazione di una causa di esenzione da colpa che si richiami alla condotta imprudente altrui, non rileva allorché chi la invoca versa in re illecita, per non avere negligentemente impedito l’evento lesivo; … il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi che l’ambiente di lavoro abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto a presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera …».
Pertanto, nella fattispecie in esame, essendo l’amministratore di condominio datore di lavoro del custode il decesso, causato presumibilmente da un parapetto delle scale di altezza inferiore a quella stabilita dalla legge (dopo il tragico incidente era stato rialzato di quei centimetri necessari a raggiungere la misura minima imposta dalla legge) è sicuramente il risultato della violazione degli obblighi sanciti dall’art. 26, comma 1, lett. b) D.P.R. n. 547/1995 posto che il legislatore se ha stabilito in un metro l’altezza minima di un parapetto ha evidentemente ritenuto che un’altezza inferiore non possa considerarsi idonea ad assicurare al lavoratore una tutela efficace.