La Corte Suprema di cassazione, con l’ordinanza n. 27587 del 21 settembre 2022, ha affrontato il tema relativo al concorso colposo di cause umane nell’ambito della responsabilità da cose in custodia del condominio.

Nel caso in esame, l’ospite di una condomina conveniva in giudizio il condominio per il risarcimento del danno biologico patito a seguito del sinistro verificatosi all’interno dello stabile condominiale, allorché mentre scendeva le scale da un piano all’altro era caduta rovinosamente a terra a seguito dell’improvviso spegnimento della luce.

Il Tribunale e la Corte di appello dell’Aquila inquadravano preliminarmente la fattispecie in esame nell’ambito di applicazione dell’art. 2051 c.c. e rigettavano la domanda avanzata, perché non era stato provato il dedotto malfunzionamento dell’impianto di illuminazione né l’impropria realizzazione del corrimano, sicché l’evento dannoso doveva ritenersi unicamente ascrivibile alla condotta imprudente della danneggiata, la quale, scendendo le scale senza tener conto della durata di accensione del timer di illuminazione, poneva in essere una condotta colposa idonea ad escludere il nesso causale tra la cosa custodita ed il danno.

Avverso detta pronuncia la danneggiata proponeva ricorso per cassazione, con il quale deduceva la violazione dell’art. 2051 c.c. ed osservava che era stata provata l’insidia dello stato dei luoghi, in ragione del fatto che il corrimano terminava prima dell’ultimo gradino e che la luce era provvista di timer, elementi dai quali doveva desumersi al contrario il suo comportamento diligente e l’esclusiva responsabilità del condominio. Nondimeno, censurava la sentenza impugnata nella parte in cui qualificava la condotta assunta dalla danneggiata come ipotesi di caso fortuito, idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa e il danno.

La Suprema Corte, rilevato che i motivi addotti presupponevano una rivalutazione dei fatti non consentita al giudice di legittimità, ha dichiarato il ricorso inammissibile.

La pronuncia in commento offre lo spunto per una breve disamina in ordine alla responsabilità da cose in custodia del condominio, allorché l’evento dannoso derivi dall’asserito malfunzionamento dei servizi comuni dell’edificio.

Nell’ambito dei modelli di responsabilità delineati dal codice civile, accanto a quello generale di cui all’art. 2043 c.c., il legislatore prevede, sia nel codice che nella legislazione ad esso complementare, modelli speciali di responsabilità che presentano autonome peculiarità a seconda delle finalità perseguite, quale quello previsto all’art. 2051 c.c., rubricato “danno cagionato da cose in custodia” e fondato sul rapporto tra danneggiante e “cosa”.

In particolare, l’art. 2051 c.c. prevede che “ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

La norma citata non si riferisce al concetto di custodia inteso nel senso contrattuale del termine, bensì ad un effettivo potere fisico che implica il governo e l’uso della cosa, nonché la facoltà di escludere i terzi dal contatto con essa[1]. Ne consegue che anche il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo ex art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati.

Nondimeno, dalla formulazione normativa si desume che criterio di imputazione che caratterizza la disposizione in esame ha carattere oggettivo, nel senso che non si fonda su una presunzione di colpa, essendo sufficiente per la sua configurazione la dimostrazione da parte dell’attore danneggiato del nesso di causalità tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, sì da qualificare una responsabilità per culpa in vigilando nei confronti del condominio per i danni arrecati dalle cose annoverabili nell’ambito del suo dovere di custodia, come chiarito in più occasioni dalla giurisprudenza di legittimità[2]. Di conseguenza, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. il danneggiato è tenuto unicamente a provare il nesso eziologico sussistente tra la cosa in custodia ed il danno evento.

D’altra parte, l’ultimo inciso dell’art. 2051 c.c. dispone che una siffatta forma di responsabilità può configurarsi a condizione che il custode non provi la sussistenza di un “caso fortuito”, così prevedendo una causa di esonero da responsabilità del condominio nelle ipotesi in cui venga dimostrata in giudizio la ricorrenza di un fattore, naturale o umano, ex se idoneo a recidere il nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento di danno verificatosi.

Sul punto, occorre però osservare che il codice civile non fornisce una definizione di caso fortuito, mutuandola dall’art. 45 c.p., a norma del quale “non è punibile chi ha commesso il fatto per caso fortuito o forza maggiore”. Sicché, in assenza di specifica definizione, il caso fortuito viene comunemente ricondotto ad una causa naturale o umana imprevedibile.

In particolare, nelle ipotesi in cui si verifica un concorso di cause umane, come nella fattispecie in esame, per valutare la configurabilità o meno del caso fortuito occorre necessariamente far riferimento anche alla condotta del danneggiato, allo scopo di verificare la sua incidenza nella determinazione dell’evento dannoso.

Difatti, in presenza di un concorso di cause umane la giurisprudenza ritiene che la condotta del danneggiato possa essere di per sé sola idonea a configurare un’ipotesi di “caso fortuito”, considerando la responsabilità da cose in custodia come una tipologia di illecito a natura c.d. bilaterale, attesa la rilevanza che quest’ultima può assumere nella verificazione dell’evento di danno. Ne consegue che la causa dell’evento dannoso può consistere anche nella condotta colposa del danneggiato, giacché l’espressione “fatto colposo” rappresenta la misura della rilevanza causale della condotta e non già il criterio di imputazione del fatto.

Nel fattispecie in commento, in applicazione dei descritti principi di diritto, il condominio è andato esente da responsabilità ex art. 2051 c.c. in ordine al danno da caduta lamentato dall’ospite di una condomina e provocato dall’asserito malfunzionamento dell’impianto di illuminazione dello stabile condominiale, nonché dalla presunta difformità legale del corrimano installato in prossimità delle scale, giacché la situazione di pericolo era suscettibile di essere prevista e superata mediante l’adozione delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze del caso concreto.

Ed invero, come già rilevato dalla Corte di appello, il funzionamento temporizzato dell’impianto di illuminazione interno allo stabile condominiale non costituisce oggetto dotato di intrinseca pericolosità.

Nondimeno, dalle risultanze processuali emergeva come il luogo del sinistro fosse noto alla danneggiata, che era già stata ospite della condomina ivi presente, sicché la caduta avrebbe potuto essere evitata mediante il ricorso all’ordinaria cautela e diligenza nel transitare nei luoghi a lei non estranei.

Segnatamente, siffatti elementi venivano considerati idonei a recidere il nesso eziologico necessario alla configurabilità della responsabilità da cose in custodia nei confronti del condominio a norma dell’art. 2051 c.c., in quanto imputabili alla condotta negligente dell’ospite danneggiato.

Per converso, consultando i repertori di giurisprudenza, la responsabilità ex art. 2051 c.c. a carico del condominio è stata ravvisata in relazione ai danni cagionati a seguito di caduta su gradini o marciapiedi in cattivo stato di manutenzione[3]; ai pregiudizi arrecati dalla chiusura improvvisa del cancello automatico condominiale ad un’autovettura che si trovava in fase di attraversamento[4]; ai danni da infiltrazioni d’acqua provocate dalla cattiva manutenzione di un cortile condominiale nel sottostante locale interrato di un terzo[5], ovvero provenienti da un muro di contenimento di proprietà condominiale[6]; ai pregiudizi causati alle autovetture parcheggiate nelle adiacenze dell’edificio dalla caduta di blocchi di ghiaccio formatisi sul tetto in seguito a nevicate[7]; ai danni subiti a seguito di una caduta sulla rampa di accesso all’edificio condominiale resa scivolosa dalla neve[8].

La giurisprudenza di legittimità ha anche precisato che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché tali cose non rechino pregiudizio ad alcuno, sicché risponde “ex” art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché tali danni siano causalmente imputabili anche al concorso del fatto di un terzo, prospettandosi in tal caso la situazione di un medesimo danno provocato da più soggetti per effetto di diversi titoli di responsabilità, che dà luogo ad una situazione di solidarietà impropria. Nondimeno, la conseguenza della corresponsabilità in solido, ex art. 2055 c.c., comporta che la domanda del condomino danneggiato vada intesa sempre come volta a conseguire per l’intero il risarcimento da ciascuno dei coobbligati, in ragione del comune contributo causale alla determinazione del danno[9].

D’altra parte, fuori dalle ragioni di rito che hanno interessato la pronuncia in esame, l’obbligo risarcitorio del condominio è stato ugualmente escluso in relazione ad una fattispecie assimilabile a quella in commento, avente ad oggetto i danni subiti da un condomino a seguito di caduta avvenuta lungo le scale condominiali per il malfunzionamento dell’impianto di illuminazione, essendosi il danneggiato affidato alla propria conoscenza dei luoghi e perciò inoltrato senza la dovuta attenzione[10].

In tal modo, in presenza di un concorso di cause umane nella produzione dell’evento di danno emerge la tendenza della giurisprudenza a ricondurre alle ipotesi di caso fortuito anche la condotta colposa del danneggiato, a condizione che la stessa risulti del tutto assorbente sul piano eziologico rispetto alla cosa in custodia, da considerarsi in presenza degli elementi anzidetti del tutto estranea al decorso causale che ha determinato la verificazione del pregiudizio.


[1] In dottrina: G. Alpa – M. Bessone – V. Zeno-Zencovich, in Tr. Rescigno, XIV, 356; nella giurisprudenza di legittimità: ex multis Cass. civ., n. 12280/2004

[2] Già Cass. civ., n. 5236/2004; Cass. civ., n. 11275/2005; Cass. civ., n. 4279/2008

[3] Cass. civ., n. 24739/2007; Cass. civ., n. 11592/2010

[4] Trib. Milano 13 gennaio 2000, in Arch. loc. 2001, 701

[7] Già Pret. Milano 2 novembre 1988, in Resp. civ. e prev. 1989, 146; Pret. Torino 14 gennaio 1988, in Arch. giur. circ. e sin. 1988, 627;  Trib. Milano 31 gennaio 1987, in Resp. civ. e prev. 1987, 853

[10] Trib. Roma 16 settembre 1995, in Arch. loc. 1995, 865