In tema di condominio negli edifici, il condomino dissenziente che, ai sensi dell’art. 1132 cod. civ., intenda separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza, ben può efficacemente dissociarsi mediante dichiarazione resa nell’assemblea condominiale o anche con lettera raccomandata, forme ritenute idonee ed equipollenti a quella prevista dalla citata disposizione e dal regolamento condominiale, dovendo, evidentemente, interpretarsi la manifestazione di volontà contraria del condomino secondo correttezza e salvaguardando lo scopo della prescrizione, di garantire la certezza della comunicazione e la sua conoscenza da parte del destinatario. (Nel caso di specie, il giudice adito ha annullato la delibera assembleare che, in sede di approvazione dei bilanci e di ripartizione delle relative spese, aveva posto anche a carico del condomino attore, “pro quota”, le spese di lite liquidate in altra sentenza emessa in grado di appello e sfavorevole al Condominio: nella circostanza, infatti, osserva la decisione in esame, il dissenso del condomino attore era stato efficacemente espresso, nelle forme e nel termine perentorio prescritti dall’art. 1132, cod. civ., in quanto manifestato dapprima in seno alla stessa assemblea condominiale da parte della delegata coniuge dell’attore, la cui volontà, fatta espressamente constare a verbale, era poi stata reiterata ed ulteriormente confermata, entro i trenta giorni successivi, tramite una lettera raccomandata indirizzata all’amministratore e successivamente resa al mittente per compiuta giacenza).
(Tribunale di Sassari, Sezione II civile, sentenza 5 settembre 2023, n. 878)
Il fatto
Tizio, proprietario di due unità immobiliari in condominio chiedeva l’annullamento della delibera assunta in data 4.8.2017 dall’assemblea condominiale nella parte in cui, approvando il bilancio e la relativa ripartizione delle spese, poneva a suo carico, pro quota, le spese di soccombenza di una precedente lite condominiale chiedendo pertanto il ricalcolo della quota in bilancio di sua spettanza. Deduceva che nell’assemblea condominiale tenutasi il primo agosto 2015, per il tramite della moglie, presente in assemblea, aveva rappresentato il proprio dissenso alla lite chiedendone la verbalizzazione, pur riconfermando la predetta volontà nei 30 giorni successivi a mezzo raccomandata, resa al mittente per compiuta giacenza; che successivamente l’amministratore aveva rappresentato ai condomini l’impossibilità per l’attore di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite e lamentava di aver successivamente versato la propria quota delle spese di soccombenza, con riserva di ripetizione.
Il condominio resistendo in giudizio contestava: la validità del dissenso da parte del condomino, assumendo che il dissenso alla lite era stato espresso in seno all’assemblea condominiale solo dalla sua coniuge, non condomina e priva di delega; eccepiva la decadenza del condomino per non aver manifestato nel termine dei successivi 30 giorni la sua volontà di separare la propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite, in quanto nella comunicazione inviata all’amministratore l’attore nulla aveva espressamente dichiarato in tal senso, così come richiesto dall’art. 1132, c.c., limitandosi a fare riferimento al dissenso messo a verbale nell’assemblea del primo agosto 2015 e contestava infine la modalità di trasmissione della comunicazione, avvenuta con raccomandata, anziché mediante ufficiale giudiziario, così come disposto dal regolamento condominiale, concludendo per l’inammissibilità della domanda per carenza di interesse ad agire dell’attore o, in subordine, per il rigetto.
La decisione
In accoglimento delle deduzioni attoree il tribunale sardo, ha ritenuto la delibera condominiale “invalida, perché ingiustamente attributiva di un costo a carico del condomino, in violazione di quanto prescritto dal richiamato art. 1132 c.c. in suo favore”.
La decisione del giudice sardo si colloca nel solco della giurisprudenza prevalente e consolidata in materia di modalità della comunicazione della dichiarazione di cui all’art. 1132 c.c. ribadendo il principio secondo cui il condomino ben può efficacemente dissociarsi mediante dichiarazione resa nell’assemblea condominiale o anche con lettera raccomandata, forme ritenute idonee ed equipollenti a quella prevista dall’art. 1132, c.c., e dal regolamento condominiale, dovendo, evidentemente, interpretarsi la manifestazione di volontà contraria del condomino secondo correttezza e salvaguardando lo scopo della prescrizione, di garantire la certezza della comunicazione e la sua conoscenza da parte del destinatario. Secondo la Suprema Corte, infatti, l’espressione “atto notificato”, va interpretata non nel significato tecnico della legge processuale bensì nel senso generico di “atto ricettizio” volto ad esprimere l’intendimento del condomino di scindere la propria la propria responsabilità relativamente alla lite, da quella della maggioranza (Cass. civ. 11126/2006).
La sentenza non convince, invece, in punto di mancata espressa qualificazione del precipuo vizio di invalidità della deliberazione medesima nella parte motiva.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha affermato il principio, del tutto condivisibile, secondo il quale “con riferimento alle spese legali del procedimento, in cui è presente un condomino dissenziente, le stesse spese, nel caso di soccombenza del condominio, devono essere ripartite, con i millesimi di proprietà, soltanto tra i condòmini che non si sono dissociati dalla lite. Tale criterio legale di ripartizione delle spese, previsto, in via tassativa, dall’art. 1132, comma 1 c.c., può essere modificato solo con il voto unanime di tutti i condòmini, tant’è che una delibera condominiale votata a maggioranza, non può porre le spese di lite, pro quota, a carico del condomino dissenziente, che abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso, in quanto la stessa delibera è da considerarsi nulla e non annullabile, con la conseguenza di poter essere impugnata in ogni tempo”. (Cassazione n. 5334/1996, Cass. n. 16092/2005).
Diversamente dal citato principio, dalla lettura del dispositivo della sentenza in commento è dato leggere “per l’effetto, annulla la delibera assunta in data…” dovendosi ritenere in ragione della diversa natura delle sentenze di nullità da quelle nelle quali si dispone l’annullamento di un atto, che il giudicante abbia ritenuto – erroneamente – la delibera impugnata, essere affetta da annullabilità, piuttosto che dal ben diverso vizio della nullità.
Il dissenso alle liti ex art. 1132 c.c.
L’esonero del condomino dissenziente dalle spese, a seguito della separazione della propria responsabilità in ordine alle conseguenze della lite, trova la sua legittimazione nella norma di cui all’art. 1132 comma primo, c.c., sul duplice presupposto che la lite abbia ad oggetto parti comuni dell’edificio e che la proposizione della controversia in sede civile sia stata deliberata dall’assemblea. (Cass. civ. 5163/1997).
Pertanto in ragione dell’art. 1132 c.c. il condomino che non intenda partecipare alla lite, pur essendo, questa, stata deliberata dalla maggioranza assembleare, può scindere la sua responsabilità dal resto della compagine del sodalizio, onde non essere tenuto in caso di soccombenza del condominio, al pagamento delle spese processuali sostenute dal condominio e di quelle rifuse alla controparte, ed ha diritto verso gli altri condomini al rimborso di quanto egli abbia dovuto eventualmente pagare alla parte vittoriosa. Quindi il presupposto della predetta facoltà è che il condomino sia stato dissenziente o assente alla deliberazione nella quale si è deciso di instaurare la lite oppure di resistere a quella promossa contro il condominio. Deve altresì predicarsi, in ragione del tenore letterale della norma facoltizzante, che l’esercizio della predetta facoltà sarebbe possibile solo con riguardo alle liti sulle quali si sia pronunciata l’assemblea perché rientranti nelle sue attribuzioni normali o in relazione alle quali, pur trattandosi di materia di competenza dell’amministratore, questi ha ritenuto ugualmente di provocare una delibera collegiale (L. SALIS, Il condominio negli edifici, UTET, 1950; P. NASINI, in “Il nuovo condomino”, a cura di R. Triola, Giappichelli, 2013), in base alla considerazione che in queste ipotesi il solo fatto del conferimento del mandato all’amministratore impegna i condomini a sopportare le conseguenze di tutti gli atti e quindi anche delle liti, che, nei limiti delle attribuzioni conferitegli, l’amministratore decide di compiere; diversamente sarebbe troppo comodo ad un condomino eccessivamente cauto separare in ogni caso la propria responsabilità in ordine alle conseguenze di un lite che l’amministratore deve instaurare o alla quale è tenuto a resistere, per adempiere ad un preciso dovere impostogli dal mandato.
La facoltà del condomino dissenziente di scindere la propria responsabilità da quella degli altri condomini circa le conseguenze della soccombenza della lite, non esclude però la facoltà del condomino dissenziente di impugnare, in base all’art. 1137 c.c., la deliberazione assembleare avente ad oggetto la lite. I due rimedi, infatti, sono sostanzialmente diversi. Con l’atto di dissenso il condomino manifesta soltanto contrasto sull’esito della lite e sull’opportunità di coltivarla, mentre nell’atto di impugnazione della deliberazione assembleare egli contesta la legittimità della deliberazione adottata.
La dichiarazione di dissenso.
Il dissenso deve essere manifestato con atto scritto notificato all’amministratore entro trenta giorni dalla data della deliberazione se il dissenziente era stato presente, o dalla data in cui ha avuto notizia della deliberazione, se era stato assente.
Per quanto la legge parli di atto che deve essere “notificato”, secondo la giurisprudenza (Cass. civ. sent. n. 2967/1978) e la prevalente dottrina (G. Branca in “Commentario al Codice civile”. Zanichelli, 1982), la predetta dichiarazione è un atto giuridico recettizio avente natura sostanziale, da portarsi, in quanto tale, tempestivamente a conoscenza dell’amministratore, o di chi altri rappresenti il condominio, ma per il quale non sono necessariamente richieste forme solenni, né la notificazione a norma della legge processuale dovendosi pertanto ritenere che non sia necessaria l’adozione delle forme previste dagli art. 137 ss. c.p.c. per la notificazione degli atti giudiziari, posto che tale atto non ha la funzione introduttiva di una controversia giuridica ponendosi, quindi, come atto giuridico e non come atto processuale. È tuttavia necessario un atto formale, portato a conoscenza dell’amministratore successivamente alla deliberazione assembleare, mentre non è produttiva di effetti una contraria volontà espressa soltanto nel corso dell’assemblea: infatti, il dissenso del condomino rispetto alla delibera, esternato prima che essa venga adottata, incide sulla sua formazione e sul modo con il quale essa viene ad esistenza e va tenuto distinto da quello (successivo alla delibera) con il quale il condomino, nei rapporti interni verso il condominio, dichiara di non voler subire le conseguenze della deliberazione già presa, separando la sua responsabilità da quella della collettività. L’art. 1132, co. 1°, c.c. stabilisce che il termine (di trenta giorni) per manifestare il dissenso decorre dal giorno «in cui il condomino ha avuto notizia della deliberazione». La diversa formulazione della norma rispetto a quanto invece previsto ex art. 1137 in materia dei termine per l’impugnazione della delibera, non deve però indurre a ritenere che il termine decadenziale decorra da una qualsiasi conoscenza che il condomino assente e dissenziente abbia avuto della delibera, dovendosi invece ritenere che il predetto termine debba pur sempre decorre dalla data di comunicazione del verbale della delibera medesima.