Nozione

L’amministratore deve curare la tenuta del registro dell’anagrafe condominiale (art. 1130, n. 6, c.c.). Esso deve contenere i dati anagrafici dei condomini, nonché di tutti coloro che, quali usufruttuari, conduttori o comodatari, vantano diritti reali o personali di godimento aventi ad oggetto singole unità abitative del fabbricato.

Contenuto

Se l’immobile è in comunione indivisa, il registro indica i dati di tutti i comproprietari, salvo poi l’obbligo di nominare un rappresentante agli effetti dell’art. 67, comma 2, disp. att. c.c.; così anche ove si tratti di coniugi il cui appartamento rientri nel regime della comunione legale, o di unità immobiliare appartenente in comunione a persone che abbiano costituito un’unione civile, in forza dell’art. 1, comma 13, legge 20 maggio 2016, n. 76. Per le unità immobiliari in regime di comunione legale tra coniugi, la legittimazione ad impugnare le delibere assembleari spetta a ciascun coniuge separatamente, trovando applicazione l’art. 180, comma 1, c.c., secondo cui la rappresentanza in giudizio per gli atti relativi all’amministrazione dei beni della comunione spetta ad entrambi i coniugi; rientrano, infatti, in tale disposizione, non solo, le azioni di carattere reale o con effetti reali, dirette alla tutela della proprietà o del godimento dell’immobile, ma anche le impugnazioni delle deliberazioni condominiali che si assumono pregiudizievoli alla sicurezza o al decoro del fabbricato o all’uso delle parti comuni. Vanno inseriti nell’anagrafe condominiale anche i dati di coloro che detengano un immobile in forza di contratto di convivenza ai sensi dell’art. 1, comma 50, legge n. 76/2016.

Dati Personali

A tal fine, dovrà tenersi conto delle prescrizioni più volte indicate dal Garante per la protezione dei dati personali, relative alle operazioni di trattamento di dati personali effettuate nell’ambito delle attività connesse all’amministrazione dei condomini.

Condizioni di Sicurezza

Nel registro dell’anagrafe condominiale devono inserirsi inoltre tutte le informazioni relative alle condizioni di sicurezza delle parti comuni dell’edificio, secondo quanto precisato dalla lettera c) dell’art. 1, comma 9, d. l. n. 145/2013, convertito in legge n. 9/2014.

Variazione dei dati

Le variazioni di questi dati devono essere comunicate all’amministratore per iscritto entro sessanta giorni dal loro verificarsi; ove ciò non avvenga, ovvero quando comunque i dati da inserire nell’anagrafe risultino incompleti, l’amministratore può chiedere ragguagli agli interessati con lettera raccomandata. Decorsi trenta giorni dal ricevimento della raccomandata, se all’amministratore non perviene una risposta soddisfacente, questi potrà acquisire in altro modo le informazioni necessarie, addebitandone il costo ‘ai responsabili’. La comunicazione della variazione, dunque, non può utilmente assumere forma diversa da quella scritta, della quale dovrà reputarsi elemento essenziale la sottoscrizione. Non sono tuttavia prescritte modalità specifiche di trasmissione, né che anche la prova del ricevimento di tale comunicazione da parte dell’amministratore debba risultare da un documento scritto.

Subentro nei diritti di condominio e apparenza 

L’onere di comunicazione della variazione dei dati ex art. 1130, n. 6, c.c. fa sistema con l’ultimo comma del riformato art. 63 disp. att. c.c., in forza del quale, fermo l’obbligo solidale di pagamento dei contributi dell’anno in corso e di quello precedente, gravante su chi subentri nei diritti di un condomino, chi invece ceda tali diritti su unità immobiliari resta ora obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui sia trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto. È evidente che i contratti di cessione dei diritti di condominio mantengono, secondo regola generale, natura consensuale, nel senso che il loro perfezionamento consegue al solo scambio del consenso tra il precedente condomino cedente ed il condomino subentrante cessionario; tuttavia, la comunicazione della variazione della titolarità della porzione esclusiva (non soltanto in forma scritta, per l’annotazione nel registro dell’anagrafe, ma addirittura accompagnata da trasmissione di copia autentica dell’atto di proprietà) diviene necessaria al fine di garantire la liberazione dell’alienante dall’obbligo di contribuzione alla spese condominiali.

Già da tempo, peraltro, la giurisprudenza aveva accollato all’amministratore, allo scopo di operare una corretta convocazione dell’assemblea, il dovere di operare una sia pur minima ricerca dei condomini che, trasferitisi in località diversa da quella ove risiedevano precedentemente, non abbiano provveduto a comunicare il nuovo indirizzo, dovendo, come tutti gli incarichi, anche quello di amministratore di un condominio essere svolto con l’ordinaria diligenza, il che presuppone che l’amministratore faccia quanto meno dei tentativi per rintracciare i condomini non più presenti nel precedente recapito, per esempio raccogliendo informazioni dagli altri condomini abitanti nella stessa città, o eventualmente legati da rapporti di amicizia o parentela con coloro che hanno mutato residenza.

Alla stregua dell’istituzione dell’anagrafe condominiale e dell’adempimento integrativo di pubblicità notizia, relativo all’annotazione nel registro dell’anagrafe condominiale delle vicende attinenti alla titolarità delle porzioni esclusive, quale condizione della loro opponibilità agli organi gestori, potrebbe presumersi, in mancanza di comunicazione delle variazioni, la buona fede dell’amministratore, che ritenga tuttora condomino il cedente anziché il cessionario. Ciò rischia di riaprire, allora, margini di operatività del cosiddetto principio dell’apparenza in ambito condominiale. Com’è risaputo, è stata lungamente controversa in giurisprudenza la soluzione da dare al problema delle modalità di esatta individuazione del soggetto legittimato passivo in relazione all’azione di recupero delle quote di spesa di pertinenza di ciascuna unità immobiliare. L’interpretazione ormai prevalente da ben oltre un decennio assume che, in caso di azione giudiziale dell’amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di un’unità immobiliare di proprietà esclusiva, deve intendersi in ogni caso passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità, e non anche chi possa apparire tale, come appunto il venditore, il quale, pur dopo il trasferimento della proprietà, non comunicato all’amministratore, abbia continuato a comportarsi da proprietario, o il promissario acquirente di un appartamento dell’edificio condominiale, o il coniuge che curi personalmente la gestione della proprietà dell’altro coniuge. Ciò perché farebbero difetto, nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti, le condizioni per l’operatività del medesimo principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede, essendo, inoltre il collegamento della legittimazione passiva all’effettiva titolarità della proprietà funzionale al rafforzamento e al soddisfacimento del credito della gestione condominiale.

Dunque, si conclude che, allo scopo della corretta individuazione del soggetto da convocare in assemblea, ovvero debitore delle spese condominiali, allorché si fosse verificato un trasferimento della proprietà di una porzione esclusiva, essendo tale individuazione conseguente all’assunzione dello status di condomino, non deve pretendersi alcuna liberatoria preventiva informazione della gestione condominiale proveniente dall’alienante o dall’acquirente, prevalendo su ogni apparenza di titolarità il principio della pubblicità immobiliare e quello dell’effettività.

Una diversa soluzione aveva in precedenza portato a sostenere che, in caso di mutamenti nella titolarità delle unità immobiliari condominiali, l’acquirente, per legittimarsi di fronte al condominio quale nuovo titolare interessato a partecipare alle assemblee, dovrebbe adottare, da solo o insieme con l’alienante, iniziative idonee a rendere noto al condominio tale passaggio di proprietà, restando altrimenti, fin quando ciò non sia avvenuto, destinatario dell’avviso di convocazione e conseguentemente legittimato a partecipare alle assemblee condominiali sia soltanto l’alienante. Si riteneva, del pari, legittima la disposizione del regolamento del condominio che prevedesse a carico dell’alienante l’onere di comunicare all’amministratore del condominio gli estremi di trasferimento e i dati personali dell’acquirente.

Con i nuovi contenuti normativi voluti dagli artt. 1130, n. 6), c.c., e 63, ultimo comma, disp. att. c.c., potrebbe trovare nuova linfa l’ormai ripudiata tesi secondo cui, in caso di alienazione della porzione esclusiva, lo status di condomino e le conseguenti legittimazioni appartengono all’acquirente soltanto «dal momento in cui il trasferimento venga reso noto al condominio»: lo status di condomino si trasferirebbe, in pratica, in capo all’acquirente non immediatamente, al prodursi della vicenda traslativa dell’unità immobiliare, ma unicamente quale conseguenza della pubblicità avuta da tale vicenda agli occhi della gestione condominiale. In realtà, il nuovo assetto codicistico della vicenda traslativa dell’unità immobiliare sembra finalizzato unicamente ad ampliare i destinatari della pretesa di riscossione dei contributi condominiali, creando un vincolo solidale in danno del cedente che rimanga inerte rispetto all’obbligo informativo, senza con ciò incidere in ordine alla legittimazione alla partecipazione alle assemblee ed all’impugnativa delle relative deliberazioni, spettando comunque al solo acquirente il voto nelle stesse adunanze assembleari, semmai pure quale gestore delle ragioni di tutela del suo dante causa, coobbligato solidale.

Conduttori

Nel Registro dell’anagrafe condominiale l’amministratore deve inserire anche i dati anagrafici relativi ai conduttori. Il nostro ordinamento non conosce, in realtà, alcun rapporto gestorio condominiale che coinvolga direttamente gli inquilini delle porzioni esclusive, nemmeno alla stregua degli artt. 9 e 10 della legge 27 luglio 1978, n. 392, tant’è che si dice che di fronte al condominio esistono solo i condomini e non i conduttori. Vero è, però che i rinnovati artt. 1136, comma 6, c.c. e 66, comma 3, disp. att., c.c., pongono, quale presupposto di legittimità della delibera assembleare, la convocazione di tutti gli ‘aventi diritto’, adoperando perciò una nozione soggettiva di legittimazione, chiaramente più vasta, che sostituisce il precedente riferimento ai soli ‘condomini’.

Ora, l’art. 10 della legge 27 luglio 1978, n. 392 prevede un’assemblea condominiale allargata alla partecipazione – sia pure solo per determinate materie – dei conduttori, chiamati a deliberare in luogo dei condomini e legittimati ad impugnare le eventuali deliberazioni viziate. L’art. 10 della legge n. 392/1978 nel primo comma attribuisce, in particolare, al conduttore diritto di voto, in luogo del proprietario dell’appartamento locatogli, nelle delibere dell’assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d’aria; nel secondo comma aggiunge che quello ha, inoltre, diritto di intervenire, senza diritto di voto, nelle delibere relative alla modificazione degli altri servizi comuni; nel terzo comma estende la disciplina del primo comma anche all’edificio non in condominio; nel quarto chiarisce che, in tale ultima ipotesi, i conduttori si riuniscono in apposita assemblea convocati dal proprietario dell’edificio o da almeno tre conduttori; nell’ultimo comma, rinvia, in quanto applicabili, alle disposizioni del codice civile sulla assemblea dei condomini. Si è sempre sostenuto finora che non venisse in tal modo imposto alla collettività dei partecipanti al condominio l’onere della presenza del conduttore alle deliberazioni dell’assemblea: sarebbe stabilito, piuttosto, il diritto di intervento di quest’ultimo in luogo del proprietario ed a tutela dei suoi diritti ed interessi, potenzialmente contrapposti a quelli del locatore. Poiché l’ultimo comma dell’art. 10, legge n. 392/1978, richiama, in quanto applicabili, all’osservanza delle disposizioni del Codice civile sull’assemblea dei condomini, ne è stato desunto che non ci fosse volontà del legislatore del 1978 di introdurre deroghe in favore dell’inquilino mediante l’art. 66 disp. att. c.c. La partecipazione dell’inquilino a tali determinate delibere doveva, cioè, garantirsi dall’onere comunicativo posto a carico del locatore, giacché riconducibile al contenuto degli obblighi di salvaguardia degli interessi rientranti nel complessivo programma contrattuale della locazione. Sicché, le conseguenze della mancata convocazione del conduttore non potrebbero farsi ricadere sul condominio, ma unicamente sullo stesso proprietario, tenuto ad informare il conduttore dell’avviso di convocazione ricevuto dall’amministratore.

È tuttavia sostenibile una rinnovata interpretazione dell’ultimo comma dell’art. 10 della legge n. 392/1978, in relazione agli artt. 1136, comma 6, c.c. e 66 disp. att. c.c., in modo da ricomprendere anche gli inquilini tra gli ‘aventi diritto’ cui va esteso, per quelle delibere, l’onere di convocazione gravante sull’amministratore. Ciò, infatti, potrebbe dare spiegazione del perché nel Registro dell’anagrafe condominiale l’amministratore debba inserire anche i dati anagrafici relativi ai conduttori. E così meglio si comprenderebbe anche il perché i titolari di diritti di godimento sulle unità immobiliari possano adesso indiscriminatamente, al pari dei condomini e dei titolari di diritto reale, accedere alla documentazione di spesa (art. 1130-bis c.c.).

D’altro canto, l’interesse dell’amministratore condominiale a censire i titolari dei diritti personali di godimento sulle unità immobiliari può riscontrarsi nell’esigenza di far valere nei loro confronti le clausole del regolamento condominiale che impongono restrizioni ai poteri ed alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà. Allorché si verifichi una violazione di disposizioni di tale contenuto inserite nel regolamento condominiale, il condominio, infatti, sempre che sia provata l’operatività della clausola limitativa, ovvero la sua opponibilità al condomino locatore, può chiedere nei diretti confronti del conduttore di una porzione del fabbricato condominiale la cessazione della destinazione abusiva e l’osservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, non potendosi il conduttore beneficiare di una posizione diversa da quella del condomino suo locatore. Il condominio può domandare la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore; soltanto, però, nell’ipotesi di richiesta rivolta verso il conduttore, si verifica una situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario, e non anche nell’ipotesi in cui convenuto in giudizio sia il solo proprietario del locale, senza cioè il conduttore dello stesso. In sostanza, il giudizio che intenda sindacare la validità della clausola del regolamento deve indirizzarsi necessariamente tanto verso il proprietario quanto verso il conduttore, giacché le limitazioni regolamentari all’uso delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, rappresentando oneri reali o servitù reciproche, riguardano immediatamente la cosa e coinvolgono, ad un tempo, il proprietario ed il conduttore. Rimanendo, invero, il condomino (di regola, ed al di là dell’eccezionale ipotesi di un immediato obbligo negozialmente assunto dal conduttore nei confronti diretti del condominio) il principale destinatario delle norme regolamentari, costui si pone nei confronti della collettività condominiale non solo come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua, ma anche come responsabile delle violazioni delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto sia ad imporre contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, sia a prevenirne le inosservanze ed a sanzionarle, pure mediante la cessazione del rapporto.

L’art. 1, comma 59, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge di stabilità 2016), inoltre, sostituendo l’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n.  431 (Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili ad uso abitativo), nel prescrivere che l’obbligo di procedere alla registrazione del contratto di locazione abitativa sia posto a carico esclusivo del locatore, e ciò entro il termine perentorio di trenta giorni, onera lo stesso locatore di dare «documentata  comunicazione, nei successivi sessanta giorni» dell’avvenuto adempimento di registrazione sia  al conduttore che all’amministratore del condominio, anche per agevolare quest’ultimo ad aggiornare il registro dell’anagrafe condominiale di cui all’articolo 1130, numero 6), c.c. Dell’avvenuta registrazione della locazione, il locatore è, quindi, tenuto a darne comunicazione all’amministratore del condominio ‘anche’ (ossia, non solo) ai fini dell’ottemperanza agli obblighi di tenuta dell’anagrafe condominiale. Tale comunicazione della registrazione va data al conduttore ed all’amministratore condominiale nei successivi sessanta giorni rispetto ai trenta giorni decorrenti dalla stipula del contratto, e dunque entro novanta giorni al massimo da essa; eppure l’art. 1130, n. 6, c.c., come visto, prescrive che le variazioni di questi dati devono essere comunicate all’amministratore per iscritto entro sessanta giorni dal loro verificarsi. La comunicazione dovrebbe allegare copia del contratto di locazione col timbro dell’Agenzia delle Entrare, o comunque contenere il numero di identificazione, nonché luogo e data della registrazione. Non sono prescritte modalità specifiche di trasmissione, né che anche la prova del ricevimento di tale comunicazione da parte dell’amministratore debba risultare da un documento scritto. È poi da ritenere che, a norma dell’art. 1130, n. 6, c.c., l’amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza della tempestiva comunicazione di eseguita registrazione della locazione abitativa, debba richiedere con lettera raccomandata al condomino locatore le informazioni necessarie alla aggiornata tenuta del registro di anagrafe, come integrata dall’art. 1, comma 59, della Legge di stabilità 2016. Decorsi trenta giorni dal ricevimento della raccomandata di chiarimenti, se la risposta del locatore sulla registrazione sia mancata o sia risultata incompleta, l’amministratore dovrebbe allora verificare l’operazione di registrazione presso l’Agenzia delle Entrate, essendo in possesso del codice fiscale del locatore o comunque dei dati già inseriti nel registro dell’anagrafe sulle generalità del conduttore. Ove il contratto non risulti registrato, l’amministratore si troverà nell’impossibilità di completare l’aggiornamento del registro dell’anagrafe con il dato ora richiesto, e potrà farne denuncia all’Agenzia delle Entrate.

Il conduttore di un’unità immobiliare compresa in un edificio condominiale può, al pari del proprietario, godere delle relative parti comuni ed anche, eventualmente, modificarle, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell’unità immobiliare oggetto primario della locazione (limite cd. interno) e sempre che non risulti alterata la destinazione di esse, né pregiudicato il paritario uso da parte degli altri condomini (limite cd. esterno).

Assegnatario della casa familiare

L’amministratore di condominio non ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell’unità immobiliare adibita a casa familiare, avendo il relativo diritto natura di diritto personale di godimento  “sui generis”.