Con la sentenza n. 1816/2023, qui in esame, l’irrisolto e quasi shakespeariano dilemma “cassa o competenza” travalica le aule dei Tribunali di primo grado per approdare in Corte d’Appello, recando con sé un’impostazione decisamente innovativa e suggestiva in virtù della quale sarebbe demandata direttamente all’amministratore “la scelta di come redigere il rendiconto” e, quindi, per quale dei due criteri, sopra richiamati, optare.
Ma andiamo per gradi. La controversia sorge a seguito dell’impugnazione, dinanzi al Tribunale competente, della delibera di approvazione del rendiconto al fine di ottenerne la dichiarazione di nullità e/o di annullamento per violazione degli artt. 1130 bis e 1130 n. 10 c.c.. Nello specifico le doglianze vertono sulla eccepita “parzialità” e “incompletezza” del rendiconto, in quanto non riferito all’intero esercizio ma a una sola porzione del medesimo (più precisamente il solo ultimo trimestre dell’esercizio solare), nonché sulla mancata allegazione dello stato patrimoniale e degli ulteriori elementi previsti dai già citati articoli del Codice civile. Il Giudice di prime cure, sulla base della sola documentazione agli atti e senza esperire alcuna CTU tecnica come si evince dall’appello, rigetta le eccezioni sinteticamente sopra riportate rilevando che “lo stesso attore aveva dichiarato di aver ricevuto dall’amministratore, unitamente alla convocazione, i documenti di cui alla citata disposizione”. Inoltre, il Tribunale meneghino evidenzia che, dall’esame del verbale, emergerebbe “la formulazione di una serie di domande rispetto alle singole poste di spesa inserite nel rendiconto puntualmente riscontrate dall’amministratore”. Infine, in merito all’eccezione circa la parzialità ed incompetenza del rendiconto il Giudice di primo grado asserisce che “l’aver approvato un rendiconto in assenza di approvazione dei quali precedenti non rientra nella competenza del Tribunale essendo precluso qualsiasi sindacato del merito delle delibere condominiali e che ogni spetto relativo alla corretta gestione da parte dell’amministratore non rientrava nei motivi della impugnazione”.
In effetti la fattispecie oggetto di controversia evidenzia alcune criticità, così si deduce dalla sentenza, generate dall’avvenuto avvicendamento tra amministratori ed il conseguente passaggio di consegne incompleto e lacunoso, tale da costringere l’amministratore entrante a ricostruire parte della contabilità e presentare un rendiconto composto in parte da dati gestiti direttamente da lui, pertanto definitivi, ed in parte da altri sostanzialmente ricostruiti sulla base della documentazione consegnata, quindi, soggetti ad eventuali integrazioni e/o rettifiche.
A fronte della già indicata sentenza di primo grado il ricorrente presenta appello richiedendone la relativa riforma e deducendo:
- la violazione dell’art. 1130 bis c.c. per la mancata allegazione al rendiconto dello stato patrimoniale e omessa indicazione degli ulteriori elementi “obbligatori” del rendiconto: i fondi e/o riserve condominiali, i rendiconti dei precedenti esercizi 2016-2017, il saldo del c/c bancario “iniziale”, l’ammontare dei debiti del Condominio al 31/12/2018 e dei crediti dallo stesso vantati nei confronti dei singoli condomini per le spese da questi ultimi non pagate, i rapporti in corso e le liti pendenti (elementi cosi riassunti dall’appellante nella pag. 28 dell’appello);
- la violazione dell’art. 1130 n. 10 c.c. per “parzialità” ed “incompletezza” del rendiconto non riferito all’intera gestione 2018, bensì al solo periodo ottobre-dicembre 2018;
- la non conformità del rendiconto ai principi di “chiarezza”, “veridicità”, “intellegibilità” ed “immediata verificabilità” da parte di persona non esperta, con conseguente violazione degli artt. 1130 e 1130 bis c.c.;
- la violazione del cd. “principio di cassa” per la mancata indicazione delle “entrate e uscite”;
La Corte di Appello milanese conferma la sentenza di primo grado rigettando le suddette eccezioni sulla scorta di differenti argomentazioni, alcune più propriamente procedimentali, che qui volutamente si tralasciano, ed altre più di natura tecnica sulle quali ci si sofferma nel prosieguo della presente nota.
Come anticipato in apertura, tra i reclami sollevati nell’appello si propone ancora una volta la contrapposizione tra principio di cassa e di competenza. Infatti, l’appello paventa tra i profili di irregolarità il mancato rispetto del principio di cassa riportando la questione che vede fronteggiarsi i due differenti noti orientamenti giurisprudenziali:
- principio di cassa: sostenuto soprattutto dal Tribunale capitolino (vedasi ad esempio Tribunale di Roma Sez. V del 27/10/2017) il quale ha affermato che “non si ritiene che il bilancio debba essere redatto in forma rigorosa posto che non trovano diretta applicazione, nella materia condominiale, le norme prescritte per i bilanci delle società” (non senza cadere in una evidente contraddizione, laddove il Giudice richiama l’obbligo di presentare anche lo stato patrimoniale, senza tenere conto che per l’elaborazione di quest’ultimo documento si deve necessariamente adottare il principio di competenza);
- principio di competenza: sostenuto, invece, sulla base di argomentazioni più propriamente di tecnica contabile (su tutti Tribunale di Udine sentenza 19/08/2019, n. 1014 la quale ha affermato che “la situazione patrimoniale richiesta dall’art. 1130 bis c.c. – e quindi il rendiconto generale – dev’essere, invece, redatta secondo il criterio di competenza, in quanto tra le “attività” dovranno essere indicati, ad esempio, i crediti verso i condomini, i crediti verso i fornitori (da annotare secondo la competenza), le disponibilità liquide, mentre tra le “passività” dovranno essere indicati i debiti verso i condomini, i debiti verso terzi, i fondi accantonati, le riserve”).
A ben vedere di fatto la Corte di Appello di Milano lambisce appena la tematica, quasi non volesse espressamente addentrarsi, travalicando la suddetta antinomia giurisprudenziale, in speciose disquisizioni dottrinarie. Da molto tempo, infatti, gli interpreti riflettono sul dilemma se, in assenza di una specifica presa di posizione da parte del legislatore (il Codice civile in realtà non prende una posizione né in termini di obbligo né tanto meno in senso di divieto), la questione possa essere definita in sede assembleare con apposita delibera o con una integrazione del Regolamento di condominio. Con un repentino balzo la sentenza in commento va aldilà di quanto sopra addivenendo ad una conclusione decisamente peculiare – di non indifferente impatto e veicolo di riflessi importanti – sostenendo, come anticipato in apertura, che il soggetto deputato a stabilire a quale impostazione debba ispirarsi la contabilità condominiale (e, conseguentemente il relativo rendiconto), sia l’amministratore. Si introduce, quindi, il principio – di nuovo conio a quanto consti – secondo il quale “compete all’amministratore la scelta di come redigere il rendiconto, non solo secondo la propria diligenza professionale ma anche secondo le dimensioni del condominio potendo adottare per quelli di modeste dimensioni un rendiconto meno analitico” per concludersi con la “dirompente” proposizione con cui si sottolinea la “discrezionalità in capo all’amministratore in merito alle concrete modalità di redazione del rendiconto condominiale”.
La sentenza in commento (che recepisce le sollecitazioni di autorevole dottrina, cfr., A Ciatti Caimi, sub. art. 1130 bis, c.c., in Condominio negli edifici, Commentario del codice civile e codici collegati Scialoja, Galgano, Branca, Bologna, 2022, p. 262 il quale rileva, antesignano, che “spetta all’amministratore stabilire se ricorrere al criterio di rilevazione delle singole operazioni per cassa oppure per competenza”) assume, dunque, una valenza quasi “epocale” perché risolve, con un solo gesto, una delle cause di impugnativa più diffuse: la presunta illegittimità del rendiconto laddove sia redatto secondo un principio piuttosto che l’altro. In altri termini, ci si sposta da un piano prevalentemente giurisprudenziale a quello più propriamente dottrinale ma con un forte richiamo ai profili pratico-applicativi della materia. Peraltro, la Corte d’Appello meneghina evidenzia e ribadisce più volte tale principio in tutto l’iter argomentativo della sentenza.
Del resto, a ben vedere, la suddetta conclusione non rappresenta nient’altro che il risultato interpretativo desumibile già dalla giurisprudenza di legittimità la quale in passato aveva chiarito che “In tema di condominio degli edifici, per la validità della delibera di approvazione del bilancio preventivo non è necessario che la relativa contabilità sia tenuta dall’amministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione; né si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell’organo deliberativo la facoltà di procedere sinteticamente all’approvazione stessa, prestando fede ai dati forniti dall’amministratore alla stregua della documentazione giustificativa” (Cass., sez. II, 9 maggio 2011, n. 10153). Ed ancora: “La contabilità presentata dall’amministratore del condominio non è necessario che sia redatta con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle società, ma deve essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi, non solo della qualità e quantità dei frutti percetti e delle somme incassate, nonché dell’entità e causale degli esborsi fatti, ma anche di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito e di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia adeguato a criteri di buona amministrazione” (Cass., sez. II, 23 gennaio 2007, n. 1405). Appare opportuna una puntualizzazione in merito alle sentenze sopra citate. Una non corretta interpretazione dell’asserzione che la contabilità condominiale non debba essere tenuta “con rigorose forme analoghe a quelle previste per i bilanci delle società, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione” molto spesso ha rappresentato e rappresenta l’assioma di partenza per addivenire alla conclusione che si debba adottare il principio di cassa. Interpretazione e conclusione che non si ritengono condivisibili.
Un altro passaggio interessante lo si può rinvenire nel punto in cui la sentenza va a confutare l’eccezione di irregolarità del rendiconto approvato in quanto carente della documentazione prevista per legge. Sul punto la Corte d’Appello respinge la doglianza dichiarandola inammissibile ed infondata sulla base della mera disamina dell’avviso di convocazione da cui risultavano allegati i seguenti documenti:
- la nota sintetica di gestione, che riepiloga i rapporti intrattenuti nel corso dell’esercizio, i criteri di redazione del bilancio, l’ammontare delle spese di gestione e le liti pendenti;
- il “riepilogo finanziario di cassa” relativo al periodo 01/10/2018-31/12/2018, che riporta dettagliatamente gli importi incassati nel corso della gestione, i crediti vantati dal condominio, i debiti, le spese sostenute e il saldo del conto corrente bancario alla data di chiusura dell’esercizio;
- il “registro di contabilità”, riportante i movimenti bancari del periodo 01/10/2018-31/12/2018;
- il “rendiconto consuntivo sintetico” e il “rendiconto consuntivo analitico”, che indicano rispettivamente l’ammontare totale delle spese e le singole spese con specificazione del creditore e della causale dell’addebito al Condominio;
- il “riparto consuntivo spese”, che indica l’entità delle somme versate da ciascun condomino per il pagamento delle spese di gestione.
Sulla scorta della documentazione sopra elencata la pronuncia afferma l’infondatezza dell’appello. Da questo punto di vista il pronunciamento della Corte d’Appello esprime una sua rilevanza perché fornisce un parametro di valutazione, ad integrazione e interpretazione di quanto previsto dall’art. 1130 bis c.c., in funzione del quale poter stabilire se il rendiconto condominiale sia stato correttamente redatto. Infatti, come ben noto, la formulazione dell’art. 1130 bis c.c. ci ha consegnato una disposizione normativa bisognosa di una più appropriata esplicitazione e completamento, dal momento che una sua applicazione pedissequa condurrebbe all’elaborazione di un documento incompleto e non soddisfacente anche rispetto ad altre disposizioni normative (vedasi ad esempio quanto indicato al punto 3 dell’art. 1135 c.c.). Più precisamente, l’art. 1130 bis c.c. prevede che il rendiconto si componga di:
- registro di contabilità;
- riepilogo finanziario;
- nota sintetica esplicativa.
Sotto tale profilo la sentenza appare perfettamente aderente alle acquisizioni della Suprema Corte laddove quest’ultima evidenzia che “In tema di condominio negli edifici, il rendiconto ex art. 1130-bis c.c. deve essere composto da un registro di contabilità, da un riepilogo finanziario e da una nota sintetica esplicativa della gestione, con indicazione dei rapporti in corso e delle questioni pendenti, parti inscindibili di esso che perseguono lo scopo di soddisfare l’interesse del condomino ad una conoscenza concreta dei reali elementi contabili recati dal bilancio, in modo da dissipare le insufficienze, le incertezze e le carenze di chiarezza in ordine ai dati del conto, e così consentire in assemblea l’espressione di un voto cosciente e meditato. Ne consegue che, allorché il rendiconto non sia composto da registro, riepilogo e nota, ed i condomini non risultino perciò informati sulla concreta situazione patrimoniale del condominio quanto ad entrate, spese e fondi disponibili, è configurabile l’annullabilità della deliberazione assembleare di approvazione, indipendentemente dal possibile esercizio del concorrente diritto spettante ai partecipanti di prendere visione ed estrarre copia dei documenti giustificativi di spesa” (Cass., sez. VI-2, 23 luglio 2020, n. 15702).
Sotto altro profilo, ponendo a confronto la formulazione codicistica con l’elencazione riportata in sentenza, si evince subito la mancanza, nell’art. 1130 bis c.c., di due documenti fondamentali e, più propriamente: il rendiconto consuntivo ed il riparto del consuntivo.
Inoltre, si specifica la presenza della “situazione patrimoniale” quale componente del riepilogo finanziario. Risulta, altresì, interessante e da tenere in considerazione la precisazione che la nota sintetica esplicativa debba contenere l’indicazione dei “criteri di redazione del bilancio”. Questo passaggio va collegato a quanto sopra illustrato in merito al criterio da adottare nella redazione del rendiconto quale competenza specifica da esercitare discrezionalmente da parte dell’amministratore. Seguendo l’indicazione fornita dai Giudici milanesi, una volta che tale scelta venga inserita nella nota sintetica esplicativa, documento che deve essere espressamente sottoposto alla votazione dell’assemblea, si ottiene il non trascurabile risultato che, avvenuta tale approvazione, la scelta dell’amministratore risulta acquisita e fatta propria dall’assemblea medesima.
Alla luce della presente sentenza e ad integrazione di quanto previsto all’art. 1130 bis c.c. si può addivenire alla conclusione che il rendiconto condominiale debba essere strutturato sulla base delle seguenti componenti:
- nota sinettica esplicativa (comprensiva dell’indicazione dei principi dir redazione del rendiconto;
- riepilogo finanziario (comprensivo dello stato patrimoniale);
- il registro di contabilità;
- rendiconto consuntivo;
- riparto.
La Corte d’Appello rileva poi la natura meramente formale delle eccezioni sollevate in contrasto con l’aspetto sostanziale dei documenti oggetto di contenzioso. Pertanto, ribadisce anche da questo punto di vista la non meritevolezza di accettazione in quanto non considerabili fondate ed ammissibili.
Infine, la sentenza della Corte d’Appello di Milano si conclude con un passaggio che richiede una specifica riflessione laddove richiama la sentenza n. 8521/2017 della Suprema Corte (e così anche Cass., sez. II, 7 febbraio 2000, n. 9099; conforme Cass., sez. II, 20 aprile 1994, n. 3747) la quale ha precisato che “nessuna norma codicistica detta, in tema di approvazione dei bilanci consuntivi del condominio, il principio dell’osservanza di una rigorosa sequenza temporale nell’esame dei vari rendiconti presentati dall’amministratore e relativi ai singoli periodi di esercizio in essi considerati, con la conseguenza che va ritenuta legittima la delibera assembleare che (in assenza di un esplicito divieto pattiziamente convenuto al momento della formazione del regolamento contrattuale) approvi il bilancio consuntivo senza prendere in esame la situazione finanziaria relativa al periodo precedente, atteso che i criteri di semplicità e snellezza che presiedono alle vicende dell’amministrazione condominiale consentono, senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, finanche la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell’approvazione dei rendiconti”.
Tale assunto, sebbene appaia civilisticamente ineccepibile, tuttavia, dal punto di vista della tecnica e dei principi contabili suscita qualche perplessità sul piano applicativo. In particolare, si evince un certo contrasto con il “principio di continuità” che è stato ben enucleato nella recente sentenza Trib. Roma, 2 novembre 2022, n. 15497 secondo la quale “il rendiconto deve partire dai dati di chiusura del consuntivo dell’anno precedente, a meno che l’esattezza e la legittimità di questi ultimi non siano state escluse da una sentenza passata in giudicato, perché solo in tal caso l’amministratore ha l’obbligo di apporre al rendiconto impugnato le variazioni imposte dal giudice, e di modificare di conseguenza i dati di partenza del bilancio successivo (così Cass. n. 7706 del 21 agosto 1996)”. Appare evidente, infatti, che per poter validamente rispettare il suddetto principio di continuità, sia indispensabile una sequenzialità temporale nell’approvazione dei rendiconti relativi ai singoli esercizi, a differenza di quanto invece affermato dalla Corte d’Appello di Milano.
Sotto quest’ultimo aspetto la Corte di merito si conforma alla giurisprudenza della Corte di legittimità sopra richiamate.