Disciplina

Il comma 1 dell’art. 1129 c.c. prevede l’obbligo di nomina dell’amministratore quando i condomini sono più di otto. L’obbligo sorge a carico dei condomini, e dunque della relativa assemblea, non appena venga raggiunto il requisito numerico, cosi rideterminato da quattro ad otto dalla legge n. 220/2012, ovvero quando i condomini, intesi come proprietari esclusivi, pro indiviso, di una parte dell’edificio medesimo, in conseguenza di acquisto per atto tra vivi, o di divisione o anche di successione mortis causa, divengano, appunto, più di otto. La norma non vieta, peraltro, la possibilità di nomina di un amministratore quando i condomini siano otto o meno di otto: qualora, cioè, in relazione al numero degli appartamenti, non sia integrato il requisito numerico di nomina obbligatoria, può darsi comunque incarico ad un apposito mandatario di svolgere taluna delle funzioni attribuite dalla legge all’amministratore, rimanendo il soggetto nominato comunque soggetto alla relativa disciplina.

Curatore Speciale

Poiché il condominio di edificio, di regola, agisce e viene convenuto in giudizio nell’ambito delle cose comuni a mezzo della persona dell’amministratore, nell’ipotesi di mancata nomina di questo la domanda giudiziaria riguardante beni comuni deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, sussistendo una situazione di litisconsorzio necessario. Altrimenti, l’art. 65, comma 1, disp. att. c.c. stabilisce che, «quando per qualsiasi causa manca il legale rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o promuovere una lite contro i partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’articolo 80 del codice di procedura civile».

Amministratore di fatto

Allorché, pur essendo i partecipanti più di otto, gli stessi concordano sulla superfluità di nominare l’amministratore, ferma la possibilità di sperimentare il rimedio della nomina giudiziale, il punto di riferimento nei rapporti con i soggetti esterni al condominio può essere individuato nella «persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore» (si veda l’art. 1129, comma 6, c.c.).

Si è comunque negato in giurisprudenza che i singoli condomini possano ritenersi obbligati al pagamento delle spese di un intervento di riparazioni straordinarie dell’edificio condominiale dell’edificio condominiale, eseguito in assenza della preventiva approvazione da parte dell’assemblea, a norma degli artt. 1135, comma 1, n. 4, e 1136, comma 4, c.c., su incarico dato all’appaltatore da chi svolga di fatto funzioni gestorie del condominio (Cass. 16 novembre 2017, n. 27235). E’ stato, invero, escluso che operi, in tema di condominio, il principio secondo cui l’atto compiuto, benché irregolarmente, dall’organo di una società resta valido nei confronti dei terzi che abbiano ragionevolmente fatto affidamento sull’operato dello stesso, atteso che i rispettivi poteri dell’amministratore e dell’assemblea sono delineati con precisione dagli artt. 1130 e 1135 c.c., limitando le attribuzioni dell’amministratore all’ordinaria amministrazione e riservando all’assemblea dei condomini le decisioni in materia di amministrazione straordinaria. Si è altresì evidenziato come non possa vincolare il condominio l’attività svolta da chi, di fatto, faccia le veci dell’amministratore, visto che, pure a norma dell’art. 1717, comma 1, c.c., il mandatario  che sostituisca altri a sé stesso nell’esecuzione di tale attività, senza esservi autorizzato dall’assemblea mandante e senza che sia necessario per la natura dell’incarico, risponde in proprio dell’operato del sostituto.

Delibera di Nomina ed accettazione

L’obbligo imposto ai condomini dall’art. 1129, comma 1, c.c. può ritenersi rispettato soltanto allorché l’amministratore sia  nominato dall’assemblea per un periodo di un anno, con facoltà di revoca in ogni tempo e con il conferimento delle “normali” attribuzioni previste dall’art. 1130 c.c. L’assemblea, al più, può esonerare l’amministratore da talune delle competenze ad esso riservate dal citato art. 1130 c.c., ma non può privarlo di ogni sua funzione, ovvero delle sue essenziali mansioni gestorie e rappresentative, perché ciò equivarrebbe ad un’elusione dei meccanismi di nomina e di revoca, posti dal medesimo art. 1129 c.c., e lascerebbe inevasa, di conseguenza, la necessità di darsi un amministratore effettivo, sottolineata dalla disciplina inderogabile in esame. Stando all’art. 1131 c.c., l’assemblea o il regolamento possono ampliare i poteri dell’amministratore, ma non espropriarlo delle medesime attribuzioni. Le facoltà dell’amministratore sono inderogabili in senso peggiorativo dall’assemblea, sia pur soltanto per dettare norme di comportamento, e ciò in ragione innanzitutto della tutela dei terzi che entrano in contatto col condominio. Il potere dell’amministratore di rappresentare il condominio nell’ambito delle attribuzioni conferitegli dall’art. 1130 c.c. non risulta limitabile nemmeno per volontà dell’amministratore stesso. Secondo alcune opinioni dottrinali, non si può consentire all’assemblea di ridurre la rappresentanza processuale e sostanziale dell’amministratore, stante l’inderogabilità dell’art. 1131 c.c. da parte del regolamento di condominio, in base al rinvio operato dall’art. 1138, comma 4, c.c. Sicché nemmeno una deliberazione unanime, o comunque l’assenso di tutti i condomini, potrebbero negare o diminuire la funzione di rappresentanza esterna dell’amministratore, in quanto espressione della coesione del gruppo posta a presidio degli interessi dei terzi. Il discorso potrebbe dirsi diverso per i condomini che non hanno più di otto membri, laddove l’assemblea è libera di nominare o meno un amministratore, e deve perciò essere altrettanto libera di conferirgli, o meno, in tutto, o in parte, i tipici poteri di rappresentanza. Peraltro, la contrapposta derogabilità dell’art. 1130 c.c. ha indotto la giurisprudenza ad ammettere che il regolamento condominiale (approvato per contratto o frutto di deliberazione della maggioranza) possa, ad esempio, legittimamente sottrarre all’amministratore stesso, e quindi conferire all’assemblea, il potere di decidere autonomamente in ordine al compimento di eventuali atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, subordinando alla decisione dell’organo collegiale l’esercizio da parte  dell’amministratore della relativa azione giudiziaria. Si sostiene, altrimenti, che l’assemblea dei condomini, essendo provvista di una competenza generalizzata, può in ogni momento sostituirsi all’amministratore e privarlo dei suoi poteri, in base al criterio di normale revocabilità del mandato di cui all’art. 1723 c.c. Né sarebbe ravvisabile un interesse giuridico dell’amministratore all’esecuzione dell’attività gestoria delle cose comuni, in forza di un obbligo assunto in tal senso dall’assemblea, tale da rendere irrevocabile il mandato, ai sensi dell’art. 1723, comma 2, c.c., essendo, piuttosto, il potere di rappresentanza dell’amministratore unicamente orientato alla tutela dell’interesse comune, è, cioè, alla tutela dell’interesse espresso dalla maggioranza dei condomini all’utilizzazione ed al godimento delle parti comuni. In sostanza, poiché l’amministratore agisce per conto del condominio, egli non può opporsi a che il condominio decida e compia atti che lo concernono”. Se, del resto, fosse appropriata la configurazione normativa in termini di mandato della relazione che unisce l’amministratore ai condomini, bisognerebbe consentirsi all’assemblea di rimodulare, in misura, anche rilevante la sfera di attribuzioni delineata dall’art. 1130 c.c. Si è anche richiamata l’attenzione sul diverso trattamento che le norme sul condominio dedicano al profilo processuale della rappresentanza dell’amministratore, nel senso dell’inderogabilità dell’art. 1131 c.c., ed al profilo sostanziale del mandato ex lege, nel senso, invece, della derogabilità dell’art. 1130 c.c. Le attribuzioni gestorie dell’amministratore non sembrano, insomma, privare l’assemblea della competenza a deliberare circa l’amministrazione delle cose comuni, dovendosi comprendere il potere di amministrare nel contenuto del diritto di condominio; e nella generalizzata competenza dell’assemblea si include la facoltà di modificare o di ridurre – mediante approvazione di norma regolamentare o di deliberazione adottata a norma dell’art. 1138, comma 3, c.c. – le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, fino al punto di sostituirsi a quest’ultimo nelle decisioni di gestione, sia pur sempre per taluni affari o per un tempo definito, in modo da non lasciare il condominio privo dell’indispensabile rappresentante voluto dal codice. Poco conta che i poteri appaiano conferiti all’amministratore – mandatario direttamente dalla legge, atteso che il mandato voluto dall’art. 1130 c.c. persegue esclusivamente gli interessi dei condomini-mandanti. Per l’intima connessione esistente tra mandato e rappresentanza processuale, ridotte le attribuzioni sostanziali dell’amministratore, ne verrebbe corrispondentemente limitata pure la rappresentanza processuale. Beninteso, tale limitazione della rappresentanza processuale dell’amministratore sarebbe concepibile per la sola legittimazione ad agire, e non per la legittimazione ad essere convenuto in giudizio: giacché la legittimazione attiva attiene essenzialmente alla relazione tra condomini ed amministratore, e ammette, quindi, di essere ampliata e circoscritta secondo volontà ed interesse dell’assemblea, laddove non può rimettersi alla disponibilità della medesima assemblea la legittimazione passiva dell’amministratore in ordine alle liti concernenti le parti comuni, prevista dall’art. 1131, comma 2, c.c., sopperendo in questi casi la rappresentanza processuale attribuitagli all’esigenza di rendere più agevole ai terzi la chiamata in giudizio del condominio, senza necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti di tutti i condomini.

La nomina dell’amministratore perfeziona, ed acquista perciò efficacia nei confronti dei terzi, anche ai fini della rappresentanza processuale del condominio, solo dal momento in cui sia adottata la rispettiva deliberazione dell’assemblea nelle forme di cui all’art. 1129 c.c. e ad essa consegua l’accettazione dell’amministratore designato. Soltanto quando si sono avute la formale deliberazione di nomina, nelle modalità supposte dall’art. 1129, comma 1, c.c., e la sua conforme accettazione, posso dirsi attribuiti i poteri di negoziare con i terzi per conto del condominio e di agire o resistere in giudizio in nome della collettività dei condomini. Il terzo che vuol far valere un diritto nei confronti del condominio ha, quindi, l’onere di chiamare in causa colui che ne ha la rappresentanza secondo la delibera dell’assemblea dei condomini, e non può tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi dal relativo verbale, sicché è inesistente la notificazione di un atto processuale a soggetto che appare soltanto essere amministratore del condominio.

La necessità dell’accettazione della nomina da parte dell’amministratore incaricato dall’assemblea si desume da due esplicite norme della riformata disciplina del condominio:

1) l’art. 1129, comma 2, c.c., che prevede che l’amministratore «contestualmente all’accettazione della nomina e ad ogni rinnovo dell’incarico» debba  comunicare «i propri dati anagrafici e professionali, il codice fiscale, o, se si tratta di società, anche la sede legale e la denominazione, il locale ove si trovano i registri di anagrafe condominiale, il registro dei verbali delle assemblee, il registro di nomina e revoca dell’amministratore ed il registro di contabilità, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta all’amministratore, può prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia da lui firmata».

2) l’art. 1129, comma 14, c.c., secondo il quale «l’amministratore, all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l’importo dovuto a titolo di compenso per l’attività svolta».

L’art. 1130, n. 7, c.c. postula, a sua volta, anche che il verbale di nomina dell’amministratore debba essere annotato in apposito registro.

L’esigenza di unaccettazione formale della nomina da parte dell’amministratore incaricato, introdotta dalla Riforma del 2012, crea un parallelo con l’interpretazione che si segue per gli amministratori delle società di capitali, con riguardo ai quali si sostiene che, ai fini della costituzione del rapporto di amministrazione, non è sufficiente la nomina, essendo indispensabile l’accettazione del nominato, cui fa espresso riferimento l’art. 2385 c.c.

La fattispecie normativa della nomina assembleare dell’amministratore assume, invero, i contorni di una ‘proposta contrattuale’, rivolta dal gruppo dei condomini, inteso quale unitaria parte complessa, all’amministratore designato, avendosi per perfezionato l’accordo sol con l’accettazione di quest’ultimo.

In quanto accettazione di proposta contrattuale, quella dell’amministratore nominato rimane regolata dall’art. 1326 c.c., sicché essa, per determinare l’instaurazione del rapporto di amministrazione, deve essere conforme alle condizioni stabilite nella deliberazione dell’assemblea ed essere comunicata all’assemblea stessa nel termine da questa stabilito, ovvero in quello che possa ritenersi necessario, vista la natura dell’affare.

Secondo il generale principio normativamente sancito dall’art. 1326 c.c., un’accettazione dell’amministratore non conforme alla proposta dell’assemblea, ad esempio con riguardo all’importo del compenso, equivale a nuova proposta, e comporta l’ovvia conseguenza che solo con l’accettazione di quest’ultima da parte dell’assemblea si dia per verificata la conclusione del contratto, e alle diverse condizioni della controproposta. Fin quando non sussista un verbale di assemblea che consacri in un unico documento le clausole disciplinanti il rapporto di amministrazione, ivi compreso il compenso spettante all’amministratore, non c’è, dunque, valida instaurazione dell’incarico.

L’art. 1129, comma 2, c.c., che enuncia gli obblighi di informazione, di trasparenza e di completezza, cui è vincolato l’amministratore al momento stesso del conferimento dell’incarico, e l’art. 1129, comma 14, c.c., che sancisce un generale principio di predeterminazione onnicomprensiva del corrispettivo, rendono, allora, incompatibile con la nomina dell’amministratore del condominio la disposizione dell’art. 1392 c.c., secondo cui, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita. Non è più sostenibile, in sostanza, che la nomina dell’amministratore possa risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell’assemblea e dall’annotazione nello speciale registro, pure dal comportamento concludente dei condomini che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi abitualmente a lui in detta veste, senza metterne in discussione i poteri di gestione e di rappresentanza del condominio. Non rileva, allora,  quanto meno sotto l’aspetto dei rapporti con i terzi, il dato che l’amministratore possa essere nominato pure mediante una manifestazione di volontà diversa dall’espressa investitura nell’ufficio da parte dell’assemblea, Va ritenuto perciò superato, alla stregua dei citati riferimenti di diritto positivo emergenti dalla legge n. 220/2012, l’orientamento giurisprudenziale che riconosceva pienezza di poteri gestori all’amministratore la cui nomina assembleare non era stata immediatamente seguita dall’accettazione, sull’assunto che l’operatività della nomina dell’amministratore condominiale non discende dall’accettazione.  Già, del resto, viene negata l’ammissibilità del giuramento, sia decisorio che suppletorio, sulla qualità di amministratore di condominio, essa implicando, appunto, l’accettazione della nomina, che è un atto negoziale e non un fatto storico.