a) Applicabilità delle norme
Le norme sulle distanze legali sono applicabili nei rapporti reciproci fra condomini, in relazione alle parti immobiliari di proprietà esclusiva, qualora uno di essi, utilizzando una parte comune a vantaggio della sua proprietà, sia pure nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., incorra nella violazione dei diritti di un altro condomino. Né al riguardo sono configurabili temperamenti, alla stregua di una valutazione di compatibilità delle norme suindicate con gli interessi da considerare nei rapporti condominiali, allorché trattasi di utilizzazione implicante la violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto dall’originario unico proprietario e recepito nei singoli atti di acquisto. (Nella specie, in base al su riportato principio, il Supremo Collegio ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito con la quale, in accoglimento della domanda di un condomino, altri condomini erano stati condannati a rimuovere una struttura metallica a sostegno di una tenda, realizzata su di un balcone di loro proprietà esclusiva a distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 cod. civ. dal balcone soprastante dell’attore ed in violazione di una norma del regolamento condominiale, vietante ogni modificazione dei balconi). * Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1981, n. 2531.
Negli edifici condominiali, le norme sulle distanze legali – che non possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i condomini o ad alcuni soltanto di essi) – non sono applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole allorché il rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura dell’edificio e il condomino utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., per realizzare impianti indispensabili per un’effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene, nel qual caso vanno peraltro sempre rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico dell’edificio. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio suesposto, ha confermato la sentenza che aveva negato l’applicabilità dell’art. 889 cod. civ. in ordine all’installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale dell’edificio condominiale al fine della realizzazione di un impianto di riscaldamento). * Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1981, n. 3105.
L’esistenza di una regolamentazione speciale dei rapporti condominiali non impedisce di configurare la possibilità dell’esistenza di servitù prediali tra le varie parti dell’edificio appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini, né esclude l’applicabilità, nei rapporti fra tali parti delle norme sulle distanze legali, non essendo il singolo condominio abilitato, soltanto perché tale, a creare, mediante costruzioni eseguite sulle parti dell’edificio di sua esclusiva proprietà, intercapedini nocive o antigieniche. Ai fini dell’applicabilità delle norme sulle distanze legali alle costruzioni eseguite sulle parti comuni di un edificio in condomino, occorre distinguere tra le funzioni primarie e fondamentali attribuite a tali parti in relazione al fine per cui il condominio è stato costituito e le eventuali utilizzazioni secondarie di cui le stesse parti sono suscettibili al di fuori di un rapporto di connessione inscindibile con la struttura e la funzionalità del condominio. Infatti, nel mentre deve affermarsi la prevalenza del perseguimento delle funzioni primarie delle parti comuni rispetto all’osservanza delle norme sulle distanze legali, queste norme debbono essere, invece, applicate nelle costruzioni eseguite sulle cose comuni per finalità estranee a dette funzioni. (Nella specie, è stata ritenuta l’illegittimità di una tettoia che uno dei condomini, proprietario esclusivo di una terrazza e di un cortile contiguo allo stabile condominiale, aveva costruito sul muro comune a copertura del suddetto terrazzo non soltanto perché impediva parzialmente l’esercizio della servitù di veduta in appiombo esercitata sul terrazzo e sul cortile dal proprietario dell’appartamento soprastante ma anche perché costruita, rispetto alle finestre di questo appartamento, ad una distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 c.c.). * Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1975, n. 661.
b) Canne fumarie
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro condominiale ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna fumaria di un locale di altro condomino adibito ad esercizio di pizzeria). * Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 2000, n. 15394.
La distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889, secondo comma, c.c. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di infiltrazioni. Detta norma pertanto non è applicabile alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie ed agli impianti di condizionamento d’aria, che vanno soggetti alla regolamentazione di cui all’art. 890 c.c. e quindi posti alla distanza che nel caso concreto risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo del vicino. * Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1991, n. 12927.
c) Controversie
Nelle controversie tra privati, derivanti dall’esecuzione di opere edilizie non conformi alle prescrizioni di legge o degli strumenti urbanistici, ciò che acquista rilevanza è, sempre e soltanto, la lesione di diritti soggettivi attribuiti ai privati dalle norme medesime, anche se trattasi di norme non integrative di quelle dettate dal codice civile in materia di distanze fra le costruzioni, mentre la rilevanza giuridica della concessione o della licenza edilizia si esaurisce nell’ambito del rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione ed il privato richiedente. * Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13170.
Ciascun condomino è legittimato a ricorrere per la violazione delle distanze fra costruzioni con riguardo all’edificio condominiale, senza che sia necessaria l’integrazione del contraddittorio con la chiamata in causa degli altri condomini, trattandosi di azione a tutela del diritto di proprietà dalla quale nessun nocumento può derivare agli altri contitolari. Solo nel caso in cui intervengano nel giudizio gli altri condomini aderendo alla domanda dell’attore, la sentenza che accolga tale domanda, in quanto pronunciata in contraddittorio a favore di tutti i condomini, determina un litisconsorzio necessario di natura processuale. * Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1992, n. 2940, Cavallaro c. Papa.
La domanda di arretramento di un edificio condominiale per violazione delle distanze legali deve esser proposta nei confronti di tutti i condomini, sì che, invece è proposta soltanto nei confronti di alcuni di essi e dell’amministrazione del condominio, unitamente alla richiesta di misure cautelari per il denunciato pericolo di distacchi del rivestimento del fabbricato, e nel corso del medesimo giudizio di primo grado, verificatisi questi ultimi, e ordinato ai convenuti di eliminare lo stato di pericolo, l’attore propone altresì domanda di risarcimento dei conseguenti danni, la nullità, dichiarata dal giudice di appello, della sentenza non definitiva di condanna all’arretramento di parti comuni dell’edificio perché emessa a contraddittorio non integro, determina la nullità anche degli atti successivi di prosecuzione del giudizio sulla domanda risarcitoria, nullità che peraltro deriva anche dalla connessione di tale domanda alla richiesta di interventi urgenti implicanti opere di ristrutturazione e consolidamento del fabbricato non rientranti nell’ordinaria manutenzione di esso e quindi nelle attribuzioni sostanziali e processuali dell’amministratore del condominio, e perciò da proporre anch’essa nei confronti di tutti i condomini. * Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1999, n. 2484, Genovese c. Cond. via S. Giovanni Bosco n. 14, Casoria ed altri.
Nel caso di immobili in condominio, legittimati ad agire per il rispetto delle distanze legali sono tutti i condomini, ivi compresi quelli fra costoro che siano proprietari delle porzioni direttamente prospettanti verso le costruzioni realizzate in violazione di detta disciplina. Ciò avviene anche allorché il terreno interposto tra le edificazioni stesse sia di proprietà comune, ovvero si tratti di opera condominiale che venga a incidere su diritti di singoli comunisti. * Corte app. civ. Roma, 29 maggio 1997, n. 1822.
d) Distanze nelle costruzioni
Nell’edificio condominiale le diverse unità immobiliari sono soggette anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti oggettivamente imposti dall’essenziale esigenza che ciascuna unità possa essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo, proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune dell’edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o godimento (in ipotesi, oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura, in quanto risolventesi in lesione dell’altrui diritto sul bene individuo.
Il partecipante alla comunione non può, senza il consenso degli altri, servirsi della cosa comune ai fini dell’utilizzazione di altro immobile di sua esclusiva proprietà distinto dai fondi al servizio dei quali questa sia stata originariamente destinata, perché il relativo uso verrebbe in tal guisa a risolversi nell’imposizione di fatto di una vera e propria servitù a carico della cosa comune e a favore dell’anzidetto immobile. Ne deriva che l’obbligo stabilito dall’art. 905 c.c. di rispettare le distanze per l’apertura di vedute dirette sussiste anche nel caso in cui lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune la cui presenza impone a carico dei proprietari dei fabbricati frontistanti dei limiti ancora più severi di quelli fissati dalle norme sulle distanze, in quanto l’esecuzione di nuove costruzioni (porte a piano terreno, finestre e balconi) non può alterare la destinazione del cortile consistente nel dare luce ed aria agli edifici su di esso prospettanti. * Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2000, n. 8397.
L’art. 41 quinquies, primo comma, lett. c, della L. 17 agosto 1942, n. 1150 (in base al quale l’altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati sui quali esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire) contiene due disposizioni distinte ed autonome, delle quali solo la prima deve essere considerata legge che riguarda gli edifici a confine con spazi pubblici ai sensi della seconda parte del secondo comma dell’art. 879 c.c., ma non anche la seconda, in quanto il limite di distanza da esso prescritta viene determinato esclusivamente con riferimento agli edifici vicini e non anche allo spazio con il quale il costruendo edificio confina. * Cass. civ., sez. II, 24 giugno 1991, n. 7113.
La disciplina delle distanze nelle costruzioni del codice civile impone al legislatore locale di non stabilire in ogni caso distanze inferiori ai tre metri, salva restando la facoltà per i regolamenti locali, purché sia rispettato l’anzidetto limite, di prevedere punti di riferimento per il computo delle distanze diversi da quelli stabiliti dal codice civile. (Nella specie, la Corte Suprema in base all’enunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano interpretato l’art. 22 del regolamento edilizio di Marigliano nel senso che la distanza con esso prescritta andava misurata dalle pareti e dalle sporgenze soltanto se chiuse, senza tenere conto dei balconi). * Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1990, n. 6351.
L’art. 873 c.c. nello stabilire, per le costruzioni su fondi finitimi, la distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata nei regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interesse tutelato dalla norma, ad opere che, oltre a possedere caratteri di immobilità e di stabile collegamento con il suolo, siano erette sopra il medesimo sporgendone stabilmente, e che, inoltre, per la loro consistenza, abbiano l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla salubrità del godimento della proprietà fondiaria, idoneità il cui accertamento (rimesso al giudice di merito ed insindacabile se adeguatamente motivato) è indispensabile per qualificare l’opera quale costruzione ai fini dell’applicazione della norma menzionata, senza che ciò comporti deroga alla presunzione di pericolosità collegata dalla legge al mancato rispetto delle distanze legali, presupponendo tale presunzione il preventivo accertamento che il manufatto eretto a distanza inferiore a quella legale abbia i caratteri della costruzione.
L’art. 873 c.c. non comprende invece né le opere completamente realizzate nel sottosuolo né i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo, non ricorrendo per le une o per gli altri la ragione giustificatrice della norma stessa. (Nella specie la sentenza di merito – confermata dalla Suprema Corte – non aveva ritenuto che non fossero costruzioni, ai fini di cui all’art. 873 c.c., una superficie al livello del cosiddetto piano di campagna, perfettamente spianata, attrezzata quale campo da tennis, ed i plinti, interrati nel sottosuolo, di sostegno dei pali di illuminazione del campo stesso, nonché il «cordolo» di recinzione del campo, alto 20 centimetri, la rete metallica intorno al campo ed i pali di illuminazione del terreno di gioco, considerando in particolare che il primo per la sua modesta elevazione e gli altri per la loro struttura e consistenza non erano idonei ad intercettare aria e luce ed a formare quindi intercapedini vietate dal menzionato art. 873 c.c. * Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1996, n. 5956.
e) Distanze
In tema di condominio degli edifici l’applicabilità della norma sulle distanze di cui all’art. 889 cod. civ. trova limite per la ipotesi di opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso che in tale caso l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei singoli piani o porzioni di piano, con la conseguenza che queste comportano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti comuni (art. 1117 cod. civ.) e l’insorgere del condominio, e dall’altro lato, la costituzione in deroga (od in contrasto) al regime legale delle distanze di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione del padre di famiglia. * Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139.
Rispetto a singole unità immobiliari di proprietà individuale nell’ambito di un unico edificio condominiale, le norme che regolano i rapporti di vicinato, tra le quali è compresa quella dell’art. 889 cod. civ., trovano applicazione solo in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei condomini. Pertanto, qualora esse vengano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice del merito deve accertare se la rigorosa osservanza di dette norme sia o non nel singolo caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi della convivenza che è propria dei rapporti condominiali. * Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139.
La disposizione dell’art. 889 c.c. relativa alle distanze da rispettare per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell’immobile, tale da essere adeguata all’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene. * Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801.
Allorquando nel condominio si tratti di rapporti tra le singole unità divise, le norme del codice civile sui rapporti di vicinato possono applicarsi solo nei limiti della compatibilità con quelle del regime condominiale, e la valutazione di compatibilità deve essere eseguita dal giudice del merito con riferimento alla concreta possibilità di rispettare le distanze legali, data la struttura dell’edificio comune e lo stato dei luoghi. L’utilizzazione del muro comune con l’inserimento di elementi ad esso estranei e posti a servizio esclusivo della porzione di uno dei comproprietari, deve avvenire nel rispetto delle regole dettate dall’art. 1102 c.c., e in particolare del divieto di alterare la destinazione della cosa comune, impedendo l’uso del diritto agli altri proprietari, e di quelle dettate in materia di distanze, allo scopo di non violare il diritto degli altri condomini esercitabile sulle porzioni immobiliari di loro proprietà esclusiva.