a) Allacciamento

Nel condominio di edificio, l’allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella colonna condominiale di smaltimento delle acque luride, configura un uso (più intenso) della cosa comune. Ne consegue che la legittimità o meno di detto allacciamento deve essere accertata non con riguardo alle disposizioni dettate dall’art. 1067 c.c., in tema di esercizio delle servitù, ma con esclusivo riferimento alle norme che fissano i limiti del godimento del bene comune da parte dei singoli condomini (artt. 1102, 1118 e segg. c.c.). * Cass. civ., sez II, 23 aprile 1977, n. 1529.

Va ravvisata alterazione della cosa comune nell’ipotesi in cui un partecipante alla comunione intenda usare un condotto corrente lungo una parete dell’edificio condominiale e destinato allo scarico di acque piovane per immettervi il liquame di una costruenda latrina, da scaricare in una fogna sottostante ad un cortile di proprietà altrui. * Cass. civ., 2 aprile 1969, n. 1086.

L’allacciamento degli scarichi di un fabbricato alle fognature municipali, correnti nel sottosuolo stradale, integra un uso eccezionale del demanio comunale, e, quindi, si ricollega ad un rapporto di concessione di bene pubblico. Ne consegue che la controversia che attenga soltanto al canone reclamato dal comune per tale allacciamento, senza mettere in discussione esistenza, validità ed efficacia di quel rapporto, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell’art. 5 secondo comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034. * Cass. civ., Sezioni Unite, 27 maggio 1991, n. 5974.

Nel caso in cui il costruttore – venditore di un edificio condominiale abbia assunto – ancorché nei distinti contratti di vendita dei singoli appartamenti – l’obbligo di provvedere all’allacciamento dell’edificio stesso alla rete idrica e fognante, il valore della causa nella quale alcuni condomini chiedono la condanna del costruttore-venditore al rimborso della quota da ciascuno di essi sopportata nella complessiva spesa del condominio, a seguito dell’inadempimento, da parte del convenuto, alla detta obbligazione, deve essere determinato con riguardo non alle singole quote rispettivamente dedotte in giudizio, bensì all’ammontare dell’intera obbligazione, unitariamente afferente ad opere inerenti all’edificio nel suo complesso e non riferibili singolarmente ai condomini. *Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1989, n. 3237.

Qualora il canone per l’allacciamento alla fognatura municipale venga determinato dal comune con criterio proporzionale al numero dei locali, ed il privato insorga contro tale provvedimento, sostenendo che il comune stesso non ha facoltà di imporre contributi per la manutenzione delle opere fognarie, la relativa domanda integra azione di accertamento negativo di un’obbligazione di natura tributaria, e, pertanto, esula dalle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, incluse quelle in materia di concessioni di beni o servizi pubblici. (Nella specie, il Consiglio di Stato con la decisione impugnata aveva negato la propria giurisdizione ed affermata quella del giudice ordinario). * Cass. civ., Sezioni Unite, 4 dicembre 1989, n. 5348, Forcuto c. Comune Verona. Il proprietario di un immobile al cui servizio sia stata installata nel sottosuolo di un cortile, di cui egli è comproprietario con altri, una tubazione fognante, non può permettere a terzi, senza il consenso degli altri comproprietari del cortile, di allacciare a detta tubazione i loro scarichi, rappresentando tale allacciamento una nuova servitù che non può essere costituita senza il consenso di tutti i comproprietari del fondo servente. * Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1976, n. 3892.

b) Canale di scarico

L’immissione, da parte del singolo condomino, di acque di rifiuto e di scarico di latrina in un cunicolo condominiale destinato al solo smaltimento delle acque piovane integra un’alterazione del godimento della cosa comune, suscettibile di tutela con azione possessoria. * Cass. civ., 4 gennaio 1977, n. 14. Un canale di scarico, pur passando nel sottosuolo comune, può essere di proprietà esclusiva, ed in tal caso gli altri condomini non hanno diritto di usarne, né possono pretendere di usarne contribuendo nelle spese di manutenzione dell’opera. * Cass. civ., 26 aprile 1966, n. 1069.

c) Collocazione di tubi di scarico

Il principio secondo cui l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio condominiale per la realizzazione di impianti a servizio esclusivo dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle regole dettate dall’art. 1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, onde evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sulle parti di immobile di loro esclusiva proprietà, non opera nell’ipotesi di installazione di impianti che debbano considerarsi indispensabili per un’effettiva abitabilità dell’appartamento, al lume dell’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e delle moderne concezioni in tema di igiene. Tuttavia, anche in tal caso, nel far uso della cosa comune il condomino deve sempre rispettare la proprietà esclusiva degli altri condomini, non potendo invaderne la sfera di facoltà e di diritti inerenti alla piena potestà sulla cosa, né gravarla di pesi e limitazioni, ove non abbia acquisito al riguardo – per legge o per convenzione – il relativo diritto.  Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597.

Non costituisce innovazione, ma rientra nell’uso legittimo del cortile comune, la costruzione, nel sottosuolo del cortile stesso, di tubo di scarico tra l’appartamento di un condomino e la fogna comunale, giacché essa, mentre non altera la destinazione obiettiva del cortile, che è quella di dare aria e luce agli appartamenti ed ai piani ed agli edifici circostanti, costituisce un’utilità accessoria che il suddetto bene comune può offrire ai condomini, purché tale uso sia mantenuto nei limiti dell’art. 1102 c.c.. * Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1978, n. 3405.

Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune (nella specie, collocazione nel muro comune di tubi di scarico dell’acqua) pregiudichi in concreto i diritti degli altri condomini si risolve in un giudizio di fatto, demandato al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivato. * Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1980, n. 454.

Deve ritenersi lecita la posizione di una conduttura di acque luride di scarico alla parete di un pianerottolo, in modo che essa non sia visibile poiché l’uso futuro ed eventuale, che di essa parete vogliano fare gli altri condomini (a posizione di altri tubi, apertura di porte, ecc.), potrà essere determinato secondo il criterio dell’equo contemperamento dei diversi interessi. * Cass. civ., 9 giugno 1975, n. 2293. L’installazione di nuovi tubi, per lo scarico di servizi igienici nelle condutture di edificio condominiale, la quale venga eseguita all’interno del solaio di separazione fra due piani, configura un uso legittimo della cosa comune da parte del singolo condomino, ai sensi dell’art. 1102, ove non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne pari uso, e cioè non ostacoli l’allocazione di altre analoghe tubazioni, e non è soggetta alle disposizioni che sono dettate dall’art. 889 c.c., in tema di distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi e che regolano i rapporti di vicinato fra costruzioni e fondi finitimi. * Cass. civ., 23 aprile 1977, n. 1529. Non altera la destinazione della cosa comune ai sensi dell’art. 1102 c.c. il comunista che installa un tubo di scarico di acque luride nel cortile comune interno ad un fabbricato. * Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 30 ottobre 1985.

d) Danni

Qualora a seguito della rottura di una installazione comune dell’edificio condominiale (nella specie, tubo di scarico del liquame), riconducibile alla colpevole condotta di uno degli utenti del servizio comune, derivino danni al terzo, al relativo risarcimento – stante il principio, in tema di responsabilità aquiliana, del carattere personale della colpa – è tenuto il condominio, da individuare specificamente, che ha causato l’evento dannoso e non il gruppo dei condomini interessati al servizio ovvero l’intero condominio. * Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1981, n. 3146.

In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura. * Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477.

La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell’integrità patrimoniale del detto soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilità, la previa richiesta all’amministratore, né la necessità di istanza o convocazione dell’assemblea condominiale. * Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629.

Il condominio è responsabile dei danni causati all’appartamento di un condomino da infiltrazioni derivanti dalla parte della fognatura condominiale che arriva sino al punto di innesto con la fognatura stradale, mentre non è responsabile dei danni causati alla rete di fognatura esterna al condominio stesso. * Corte app. civ. Roma, 30 novembre 1964.

e) Edifici limitrofi

Nell’ipotesi di cose destinate in modo permanente all’uso di edifici limitrofi, ma ubicate nell’area di uno solo di essi (nella specie, scarico fognario), l’applicabilità della presunzione di comunione di cui all’art. 1117 cod. civ. postula che quella destinazione all’uso comune sia avvenuta allorché non era ancora unico il proprietario di entrambi gli edifici, atteso che, ove questi abbia venduto anche uno degli appartamenti dello stabile nella cui area si trova quel bene, il bene stesso diventa comune nell’ambito di detto stabile e può essere esteso in comunione a terzi solo con il consenso dei relativi condomini. * Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1980, n. 3910.

f) Gronde

Le spese inerenti alla pulizia della gronda, trattandosi di spesa relativa a cosa comune, devono gravare su tutti i condomini, difettando qualsiasi prova che l’intasamento della gronda stessa sia dovuto a fatto esclusivo di un condomino. *Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991.

g) Pozzo nero

La costruzione di un pozzo nero, eseguita nel cortile comune da parte di uno dei condomini dell’edificio, che ricada, in virtù del principio dell’accessione, in comunione pro indiviso, e del quale, pertanto, gli altri condomini possono fare uso al pari del condominio costruttore, rappresenta un uso consentito della cosa comune, non dando luogo ad alterazione dell’utilizzazione diretta dell’area sovrastante secondo la sua destinazione naturale e non impedendo, nel caso in cui non sia sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie unità immobiliari, la possibilità di una pari utilizzazione della parte residua del fondo. * Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1978, n. 1456.

La comproprietà di pozzi neri scavati sotto un cortile non comporta necessariamente la comproprietà del cortile soprastante, che può essere esclusa dal titolo e da una diversa situazione di destinazione. * Cass. civ., 17 ottobre 1966, n. 2488.

h) Scolo delle acque grondanti

Il naturale scolo, in un cortile condominiale, delle acque grondanti da cornicioni, balconi o terrazze delle abitazioni che vi si affacciano, il quale non si ricollega ad un diritto di servitù, ma configura esercizio del diritto di comproprietà, resta soggetto ai limiti fissati dall’art. 1102 cod. civ., e non può quindi implicare un’alterazione della destinazione della cosa comune, od un impedimento del pari uso degli altri partecipanti, né un danneggiamento della cosa medesima o delle proprietà esclusive dei singoli condomini.  Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 1986, n. 5949.

i) Spese

L’art. 1123 cod. civ. dispone, nell’ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, che le relative spese sono ripartite in proporzione dell’uso da ciascuno fattone, non può subire deroga per la circostanza che l’unità immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell’edificio condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unità immobiliari, servono solo per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell’edificio comuni a tutti i condomini, ma non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui proprietà era pur inclusa nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato era sfornito di impianti igienici). * Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484.

La spesa per la riparazione dei canali di scarico dell’edificio in condominio, che, ai sensi dell’art. 1117 n. 3 c.c., sono oggetto di proprietà comune fino al punto di diramazione degli imputati ai locali di proprietà esclusiva dei singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti. (Nella specie, sulla base del principio affermato, si è ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente posto a carico del singolo la spesa di riparazione del tratto della tubazione orizzontale che si innesta in quella verticale) * Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1995, n. 12894.

Con riguardo all’impianto di fognatura di un edificio in condominio l’indagine diretta a stabilire se il condomino che non utilizzi detto impianto, per essere l’unità abitativa di sua proprietà collegata con l’impianto idrico sanitario di un altro condominio, sia egualmente comproprietario dell’impianto condominiale e quindi, in applicazione dell’art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri indicati nell’art. 1117 c.c. sull’individuazione delle parti comuni dell’edificio, tenendo conto che la comunione di detto impianto ove debba essere negata in base alla citata norma può essere riconosciuta per effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, quando esso abbia natura contrattuale perché predisposta dall’originario unico proprietario dell’edificio e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero perché adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle debite forme. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160.