Con ordinanza 1/8/2023 nr.° 23402 la II Sezione civile della Corte di Cassazione, nel confermare le conclusioni cui era già giunta la Corte di appello di Napoli nr.° 1813/2018, ha espresso tre importanti principi di diritto in materia di costituzione e disciplina del supercondominio, nonché in tema di legittimazione attiva nelle controversie allo stesso relative.

Precisamente, la Corte, facendo numerose applicazioni dell’orientamento già espresso nelle precedenti pronunce nrr.° 7286/1996 e 2305/2008, nonché 27094/2017 e 2279/2019, ha anzitutto rilevato come, in tema di cd. “supercondominio”, «i singoli edifici costituiti in altrettanti condomini vengono a formare un supercondominio quando talune cose, impianti e servizi comuni … –  che –  contestualmente sono legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con più edifici, appartengono ai proprietari delle unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati e sono regolati, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù d’interpretazione estensiva o analogica, dalle norme dettate per il condominio…» (cfr. pag. 3 della motivazione).

La pronuncia appare condivisibile e saldamente ancorata allo ius receptum (i.e. la conferma della sussistenza del supercondominio in presenza di elementi strutturali o servizi comuni a più condomìni, nonché la disciplina per relationem dettata dalla normativa sul condominio); diversamente dal condominio, che sostanzia un fenomeno essenzialmente verticale, il supercondominio esprime, dunque, un fenomeno tendenzialmente orizzontale, poiché composto da un complesso di edifici che hanno delle parti in comune, che sussiste per il sol fatto dell’esistenza di un rapporto di accessorietà tra beni e/o servizi e più condomìni.

Già Cass. nr.° 2305/2008 aveva infatti chiarito che «ai fini della costituzione di un supercondominio, non è necessaria né la manifestazione di volontà dell’originario costruttore né quella di tutti i proprietari delle unità immobiliari di ciascun condominio, essendo sufficiente che i singoli edifici, abbiano, materialmente, in comune alcuni impianti o servizi, ricompresi nell’ambito di applicazione dell’art. 1117 cod. civ., (quali, ad esempio, il viale d’ingresso, l’impianto centrale per il riscaldamento, i locali per la portineria, l’alloggio del portiere), in quanto collegati da un vincolo di accessorietà necessaria a ciascuno degli stabili, spettando, di conseguenza, a ciascuno dei condomini dei singoli fabbricati la titolarità “pro quota” su tali parti comuni e l’obbligo di corrispondere gli oneri condominiali relativi alla loro manutenzione»; coerentemente, la Cass. nr.° 7286/1996 evidenziava come: «il titolo può disporre diversamente, in quanto le cose destinate all’esercizio dei servizi comuni possono essere collocate in una parte dell’edificio di proprietà di uno solo, o di alcuni condomini. In questo caso, il diritto a partecipare alla comunione del servizio non deriva dalla comunione di proprietà, ma dall’assetto conferito per titolo all’esercizio del servizio (per esempio, la servitù). Tuttavia, in difetto di diversa disposizione per titolo, deve ritenersi che la comunione di godimento del servizio ex art. 1117 n. 2 cod. civ. appartenga ai contitolari delle cose comuni ».

Il supercondominio, dunque, sorge ipso iure et facto quale effetto della sola esistenza di elementi strutturali e servizi comuni a più condomìni, dovendosi rifuggire dalle diverse ricostruzioni propugnate da una parte decisamente minoritaria della dottrina (R. Corona, Il condominio negli edifici, Questioni ancora aperte, ANACI, Roma 2022, p. 86 ss. Cfr., contra, però, A. Scarpa, Per “fare un supercondominio” ci vuole un “titolo”?, in Smart24, 10 dicembre 2022), la quale al contrario ritiene all’uopo necessario un titolo (pur senza specificare quale): il che, paradossalmente, finirebbe per consegnare alla volontà negoziale la scelta se applicare o meno la disciplina ex artt. 1117 ss. c.c. pur in mancanza o – paradossalmente – a dispetto dell’ontologica relazione di strumentalità necessaria esistente con alcune parti comuni, peraltro in aperto contrasto con la scelta legislativa di estendere al supercondominio la disciplina del condominio.

Orbene, si tratta di una scelta che ha definitivamente ricondotto ad unità le due fattispecie, confermando l’orientamento ormai dominante nella giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le tante, Cass. 19939/2012), la quale, a propria volta, aveva sconfessato la posizione della dottrina, pur autorevole (cfr. V. Terzago, Il condominio, Milano, 2015, p. 55 ss. e le opinioni ivi citate; Visco, Le case in condominio, Milano, 1976, p.  874 ss.; G. Branca, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1972, sub art. 1119, p. 417 ss.), a mente della quale il supercondominio sarebbe disciplinato alla stregua di una comunione ordinaria, poiché il fenomeno colorerebbe semplicemente il godimento in comune di un determinato bene o servizio e non una vera e propria proprietà frazionata.

Precipitato logico dell’estensione della disciplina del condominio al supercondominio è il riconoscimento della legittimazione attiva in capo al singolo “supercondomino” «quale proprietario di alcuna delle unità immobiliari ubicate nei diversi edifici che lo – cioè il supercondominio – compongono per la tutela delle parti comuni» (cfr. pagg. 4 e 5 della motivazione). Tale principio s’inscrive nel solco del precedente rappresentato da Cass. nr.° 4340/2013 ove si legge: «Deve … affermarsi – trovando applicazione in proposito i principi generali in materia condominiale (cfr., ad es., Cass. n. 8842 del 2001; Cass. n. 12588 del 2002; Cass. n. 9206 del 2005 e Cass. n. 14765 del 2012) che, anche nell’ipotesi di “supercondominio”, la legittimazione di agire per la tutela di diritti comuni spetta a ciascun singolo condomino (facente parte dei distinti condomini che compongono complessivamente il supercondominio)»; tanto l’amministratore del supercondominio, quanto i singoli supercondomini sono dunque, legittimati a far valere in giudizio la pretesa violazione del regolamento supercondominiale, salvo il caso in cui la clausola di quest’ultimo asseritamente lesa non sia espressamente riferita ad una sola porzione del supercondominio (in ipotesi uno o più singoli condomini), ciò che determinerebbe la legittimazione attiva – in quanto dotati d’interesse processuale – dei soli supercondomini di quel condominio verticale o di quei singoli condomìni verticali espressamene regolati dalla clausola in questione, oltreché dei relativi amministratori (o dell’amministratore del condominio in qualità di mandatario esclusivamente dei condomini verticali).

Sul versante squisitamente processuale, poi, la pronunzia in commento, sconfessando il primo motivo di ricorso – fondato sulla pretesa violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c. –  chiarisce che l’accertamento, da parte del giudice d’appello circa l’esistenza di un supercondominio, alla luce dei fatti allegati con l’atto introduttivo (cfr. pag. 3 della motivazione), è attività che si risolve in una mera qualificazione giuridica, naturaliter rimessa – sia pure entro ben delineati limiti –  all’A.G.: l’applicazione del principio iura novit curia, di cui all’art. 113, comma 1, c.p.c., infatti, importa certamente la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, essendo al giudice precluso unicamente pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass., nr. 5832/2021).

Guardando alle ragioni dell’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, infine, emerge un richiamo alla stretta osservanza del principio processuale della specificità del ricorso – ex art. 366 nr.° 6 c.p.c. nel–, in virtù della «mancata trascrizione delle clausole» oggetto del gravame  (cfr. pag. 4 della motivazione).

Tuttavia, la declaratoria d’inammissibilità del secondo gravame di ricorso svela anche un secondo importante principio di diritto sostanziale in relazione al regolamento del supercondominio. L’ordinanza in esame, difatti, afferma che le clausole del regolamento condominiale si applicano nei rapporti tra tutti i condomini del supercondominio, salvo il caso in cui il cd. “regolamento supercondominiale” preveda che alcune norme riguardino solo i rapporti tra condomini di una stessa verticale (cfr. pag. 4 della motivazione): ne consegue che è onere della parte interessata provare che talune clausole del regolamento condominiale relativo ad un supercondominio trovino applicazione solo in determinati cdd. “rapporti verticali” (ovverosia tra condomini di una certa verticale) e non anche nei cdd. “rapporti orizzontali” (scilicet tra cdd. “supercondomini”) e ciò anche qualora la parte processuale interessata intenda affermare la carenza di legittimazione processuale della controparte. D’altronde, relativamente alla disciplina del supercondominio già l’anzidetta Cass. nr.° 7286/1996 aveva affermato che «le parti necessarie per l’esistenza, o destinate al servizio o all’uso di più edifici, appartengono ai proprietari delle unita immobiliari comprese nei diversi fabbricati e vengono regolate, se il titolo non dispone altrimenti, in virtù di interpretazione estensiva ovvero in forza di integrazione analogica, dalle norme dettate in tema di condominio negli edifici».