Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

QUESITO

Lo studio associato istante (di seguito, ”Studio associato” o ”Istante”) rappresenta di svolgere attività di ”Servizi forniti da dottori commercialisti” nella forma giuridica di associazione professionale, assoggettando i propri redditi ad imposizione fiscale ai sensi del combinato disposto dagli articoli 53 e 5, comma 3, lett. c) del TUIR.

L’Istante intende acquistare crediti d’imposta di cui al combinato disposto dagli articoli 119 e 121 del decreto legge n. 34 del 2020 e precisa, al riguardo, che:

– i crediti d’imposta sono riconducibili alle detrazioni disciplinate dal citato articolo 119 del decreto legge n. 34 del 2020 spettanti per spese sostenute nel periodo d’imposta 2022 e saranno utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997 in quattro rate annuali;

– il valore nominale dei crediti differirà dal costo sostenuto per l’acquisto dei medesimi.

Con documentazione integrativa, l’Istante ha chiarito che i predetti crediti non originano da prestazioni professionali rese dallo Studio e/o da soggetti allo stesso associati.

Ciò posto, chiede chiarimenti in merito alla qualificazione fiscale del ”differenziale positivo” conseguente al pagamento di un corrispettivo inferiore al valore dei crediti.

SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE

L’Istante ritiene che «il ”ricavo” derivante da tale differenziale debba essere contabilizzato e rilevare ai fini fiscali nel rispetto del c.d. ”principio di cassa”, in quanto la componente positiva di reddito trova piena esistenza solamente all’atto dell’utilizzo del credito d’imposta stesso, mediante compensazione ai sensi dell’art. 17 D.Lgs. 241/1997; ne consegue che il ”ricavo” debba essere ricondotto a imposizione pro quota, proporzionalmente all’entità numeraria delle singole rate fruibili annualmente del credito d’imposta. Pertanto, ritiene che il ”ricavo” debba essere ricondotto a imposizione pro quota, proporzionalmente all’entità numeraria delle singole rate fruibili annualmente del credito d’imposta.».

Inoltre ritiene che non sia «ravvisabile alcun rapporto di attrazione o correlazione tra l’attività svolta dall’Istante e l’acquisto di crediti d’imposta, tant’è che la compravendita di crediti d’imposta ai sensi dell’art. 121 D.L. 34/2020 può essere operata anche da soggetti IVA non svolgenti attività di lavoro autonomo.».

Lo Studio Associato ritiene, infine, «che i ”ricavi” derivanti dal differenziale tra valore nominale dei sopracitati crediti d’imposta e costo d’acquisto dei medesimi debbano essere ricondotti a imposizione fiscale, in quanto ”non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni”, quali redditi diversi ai sensi degli art. 67, co. 1, lett. c-ter), e 68, co. 6 TUIR».

PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE

In via preliminare, si osserva che, ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, costituisce presupposto di imposta, ai sensi dell’articolo 1 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917 (di seguito, TUIR), il ”possesso di redditi”, in denaro o in natura, appartenenti ad una delle categorie tassativamente indicate nel successivo articolo 6. Trattasi, precisamente delle seguenti categorie: «a) redditi fondiari; b) redditi di capitale; c) redditi di lavoro dipendente; d) redditi di lavoro autonomo; e) redditi d’impresa; f) redditi diversi». Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, dunque, qualora si verifichi un arricchimento del contribuente non inquadrabile in una delle predette categorie reddituali specificatamente individuate dalla normativa, in linea di principio, detto arricchimento non è assoggettabile ad imposizione diretta.

Per quanto riguarda la disciplina fiscale delle associazioni professionali, occorre far riferimento all’articolo 5, comma 3, lettera c), del TUIR, il quale assimila, ai fini della determinazione del reddito, le associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni alle società semplici in ragione della presenza dei medesimi elementi costitutivi.

Tale assimilazione alle società semplici comporta che le associazioni professionali (come l’Istante) non possano svolgere attività d’impresa e che il proprio reddito imponibile è costituito dalla sommatoria delle singole categorie di reddito indicate nel medesimo articolo 6 del TUIR, identificate in ragione della loro fonte di produzione. Il reddito complessivo così determinato è imputato per trasparenza, ai sensi del medesimo articolo 5, in capo a ciascun associato.

Nel caso di specie, secondo quanto rappresentato il ”provento” in questione è pari alla differenza positiva tra il valore nominale del credito di imposta acquisito ai sensi dell’articolo 121 del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, cd. decreto Rilancio) e il corrispettivo pagato dallo Studio Associato, che si considera ”incassato” al momento dell’effettivo utilizzo in compensazione, ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, con le imposte e contributi dovuti, secondo le stesse modalità spettanti al beneficiario della detrazione.

Al riguardo, si osserva che il citato articolo 121 del decreto Rilancio stabilisce che «I soggetti che sostengono (…) spese per gli interventi elencati al comma 2 possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente: a) per un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, cedibile dai medesimi ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari (…); b) per la cessione di un credito d’imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di credito e gli altri intermediari finanziari (…).».

Ai sensi del successivo comma 3, detti crediti sono utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del citato decreto legislativo n. 241 del 1997 «sulla base delle rate residue di detrazione non fruite. Il credito d’imposta è usufruito con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione. La quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.».

La disciplina sopra riportata è stata oggetto di successive modifiche; da ultimo, le disposizioni contenute nell’articolo 2, comma 1, del decreto legge 16 febbraio 2023, n. 11 convertito, con modificazioni dalla legge 11 aprile 2023, n. 38, consentono l’esercizio della predetta opzione esclusivamente al verificarsi delle condizioni espressamente previste nei commi successivi.

In sostanza, le descritte disposizioni normative consentono ai contribuenti, che realizzano determinati interventi, di fruire di una detrazione dall’imposta lorda con modalità alternative all’utilizzo diretto in dichiarazione e, in particolare, attraverso la cessione a soggetti terzi di un credito d’imposta di pari ammontare senza prevedere alcuna disciplina in merito ad eventuali effetti reddituali in capo all’acquirente.

Nel caso di specie, il credito acquisito dall’Istante deriva dall’opzione esercitata da un contribuente titolare della detrazione, di cui all’articolo 119 del medesimo decreto Rilancio, spettante nella misura del 110 per cento delle spese sostenute nel 2022.

Non può non osservarsi, al riguardo, che già con l’introduzione di tale beneficio fiscale, il legislatore ha inteso riconoscere ai contribuenti un’agevolazione, sotto forma di detrazione dall’imposta lorda, di ammontare superiore ai costi sostenuti senza, tuttavia, prevedere alcuna rilevanza reddituale di tale differenziale positivo (pari al 10 per cento delle spese medesime).

Va, inoltre, rilevato che il legislatore ha ”puntualmente” disciplinato l’ipotesi della cessione di un credito d’imposta di ammontare pari alla detrazione spettante nonché le modalità di utilizzo di tale credito da parte del cessionario, che come detto, può utilizzarlo in compensazione ai sensi del citato articolo 17 delle proprie imposte e dei contributi dovuti, con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione. La norma espressamente prevede che l’eventuale quota di credito d’imposta non utilizzata nell’anno non può essere usufruita negli anni successivi, e non può essere richiesta a rimborso.

Anche con riferimento a tale istituto, il legislatore non ha disposto in merito alla rilevanza reddituale del differenziale ”positivo” derivante dall’acquisto del predetto credito a un valore inferiore a quello nominale prevedendo, coerentemente, l’irrilevanza dell’eventuale differenziale ”negativo” derivante dal mancato utilizzo del credito in compensazione, atteso che non è possibile riportare ”in avanti” o chiedere il rimborso dell’eventuale quota di credito d’imposta non utilizzata in ciascun anno.

Pertanto, in assenza di una specifica disposizione in tal senso, la rilevanza reddituale di tale differenziale va ricercata in applicazione delle regole generali di tassazione del reddito.

Per quanto concerne le persone fisiche non titolari di reddito di impresa nonché le associazioni costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni (come l’Istante), occorre valutare se tale differenziale positivo rientri in una delle categorie reddituali di cui al citato articolo 6 del TUIR.

In considerazione della fattispecie rappresentata, in particolare, va verificato se il ”provento” (che si determina tra la somma impiegata per acquisire il credito e il valore nominale dello stesso) rientri tra i redditi di capitale, i redditi di lavoro autonomo o i redditi diversi di cui, rispettivamente, agli articoli 44, 53 e 67 del TUIR.

Al riguardo, si ritiene che, detto ”provento” non rientri in nessuna delle descritte categorie reddituali, in quanto:

– costituiscono redditi di capitale, ai sensi del citato articolo 44 del TUIR, le fattispecie tipiche ivi elencate; tale disposizione, inoltre, alla lettera h) del comma 1 dispone che costituiscono redditi di capitale «gli interessi ed altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto». Si tratta di una disposizione che ha una funzione di chiusura della categoria dei redditi di capitale, introdotta dal decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, al fine di ricondurre a tale categoria tutti i redditi derivanti dall’impiego del capitale, ovvero dalla concessione ”temporanea” alla controparte della disponibilità del capitale.

Nel caso di specie, l’acquisto del credito di imposta dietro corrispettivo non costituisce un impiego di capitale nel senso appena chiarito (cfr. circolare 24 giugno 1998, n. 165/E);

– in base al combinato disposto degli articoli 5, comma 3, lett. c), e 53, comma 1 del TUIR, inoltre, costituiscono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni in forma di associazione senza personalità giuridica costituita fra persone fisiche, che viene equiparata alle società semplici. Ai fini della determinazione del reddito di lavoro autonomo, il successivo articolo 54, comma 1, stabilisce che lo stesso è dato dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese inerenti all’esercizio dell’arte o professione effettivamente sostenute nel periodo stesso che concorrono «a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale».

Al riguardo, si ritiene che, per quanto ampia, la nozione di «elementi immateriali» non include i differenziali derivanti dall’acquisto di crediti di imposta a un valore inferiore a quello nominale e, pertanto detto differenziale non rientra tra i redditi di lavoro autonomo.

– i redditi diversi di cui all’articolo 67 del TUIR costituiscono una categoria di reddito dal carattere eterogeneo e residuale rispetto alle altre categorie. Tale disposizione prevede un’elencazione tassativa di tali redditi che hanno caratteristiche diverse tra loro in quanto provenienti da diverse fonti produttive di reddito che rientrano in tale categoria qualora «non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti nell’esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente […]».

Tra le tipologie di reddito diverso previste, la lettera c-ter), del comma 1, (richiamata dall’Istante) individua «le plusvalenze, diverse da quelle di cui alle lettere c) e c-bis), realizzate mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di titoli non rappresentativi di merci, di certificati di massa, di valute estere, oggetto di cessione a termine o rivenienti da depositi o conti correnti, di metalli preziosi, sempreché siano allo stato grezzo o monetato, e di quote di partecipazione ad organismi d’investimento collettivo. Agli effetti dell’applicazione della presente lettera si considera cessione a titolo oneroso anche il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente» (cfr. citatata circolare n. 165/E del 1998).

Trattasi delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso, ovvero dal rimborso, di titoli o certificati di massa, diversi da quelli di natura partecipativa, con esclusione dei titoli rappresentativi di merci, ovvero: titoli di massa (ad esempio, le obbligazioni e i titoli similari, ivi compresi i certificati di partecipazione ad organismi d’investimento, aperti o chiusi, mobiliari o immobiliari, ed i titoli atipici, quali i certificati rappresentativi di contratti di associazione in partecipazione, ecc.), i titoli individuali (quali, ad esempio, i certificati di deposito, le cambiali e le accettazioni bancarie, ecc.). Tale elencazione non contempla il differenziale in esame.

Il ”provento” in questione non appare, infine, riconducibile neanche tra i redditi di cui alla successiva lettera c-quinquies), che assoggetta a tassazione «le plusvalenze ed altri proventi, diversi da quelli precedentemente indicati, realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto». Al riguardo, la citata circolare n. 165 del 1998 ha chiarito che la suddetta norma «risponde ad una funzione di chiusura, essendo volta a includere tra i redditi diversi tutte quelle plusvalenze e quei proventi di natura finanziaria che potrebbero altrimenti sfuggire all’imposizione perché non inquadrabili in alcuna delle disposizioni dell’art. 81 [oggi articolo 67] del TUIR»; in particolare, «la norma in rassegna contempla due distinte fattispecie. La prima riguarda le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante la cessione a titolo oneroso ovvero la chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante la cessione a titolo oneroso ovvero il rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari. Questa disposizione si pone con funzione di chiusura rispetto alla lettera c-ter) dell’art. 81 [oggi articolo 67] del TUIR, in quanto volta a evitare che il contribuente si possa sottrarre a quella previsione impositiva ricorrendo all’espediente di far circolare, in luogo dei titoli e certificati ivi previsti, i crediti pecuniari ed i rapporti rappresentati da detti titoli e certificati. La seconda fattispecie ha ad oggetto i differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento incerto e si pone quale norma di chiusura rispetto alla lettera c-quater) dell’art. 81 [oggi articolo 67] del TUIR, in quanto finalizzata ad evitare che i differenziali positivi dei contratti derivati, conseguiti mediante la cessione o l’estinzione anticipata di tali contratti, o degli altri contratti aleatori di natura finanziaria, non inquadrabili nella stessa lettera c-quater) perché privi delle caratteristiche richieste da tale disposizione, possano sfuggire a imposizione».

Nel caso di specie, secondo quanto affermato, l’Istante intende acquistare crediti di imposta corrispondenti alla detrazione nella misura del 110 per cento, da utilizzare in compensazione, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 121 del decreto Rilancio e 17 del d.lgs. n. 241 del 1997, che non originano da prestazioni professionali rese dallo Studio e/o da soggetti associati né rappresentano il corrispettivo in natura di prestazioni professionali rese dai medesimi soggetti.

Pertanto, alla luce di quanto illustrato, in assenza di una espressa previsione normativa, volta ad attribuire rilevanza reddituale all’eventuale differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso, e stante la non riconducibilità di tale differenziale in una delle categorie reddituali previste dal TUIR, si ritiene che detto acquisto non genera, in linea di principio, reddito imponibile in capo allo Studio Associato istante.

Resta fermo che, come chiarito con la circolare n. 23/E del 23 giugno 2023 (cfr. paragrafo 6.2.1), i crediti acquisiti ai sensi del citato articolo 121 del decreto Rilancio in relazione a prestazioni professionali (ad esempio applicando il cd. sconto in fattura) rese nei confronti di committenti che hanno esercitato l’opzione ivi disciplinata costituisce un provento percepito nell’esercizio dell’attività professionale e, pertanto, assoggettato a tassazione ai sensi dell’articolo 54 del TUIR.

Il presente parere viene reso sulla base degli elementi rappresentati, assunti acriticamente come illustrati nell’istanza di interpello, restando impregiudicato ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria, anche ai fini di una diversa qualificazione fiscale della fattispecie in esame, tenendo conto del comportamento, rilevabile in concreto, assunto dall’Istante nonché della rilevanza e dell’abitualità delle effettuazione delle descritte operazioni di acquisto dei crediti di imposta.