Con ordinanza 31 agosto 2023 n. 25559, la Seconda Sezione della Corte di cassazione ha affrontato la questione concernente la legittimità del distacco del condomino dal sistema centralizzato di riscaldamento/condizionamento, disciplinato dall’art. 1118, comma 4, c.c.
Nel caso sub judice, la controversia traeva origine da una opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino, al quale era stato richiesto il pagamento degli oneri condominiali necessari per l’uso dell’impianto centralizzato di riscaldamento; il convenuto si era difeso adducendo la legittimità del distacco eseguito dalla precedente proprietaria (la quale aveva proceduto a costruire un impianto autonomo), con la conseguente inimputabilità nei propri confronti delle spese ordinarie di manutenzione della infrastruttura centralizzata.
Il Tribunale di Ravenna, adito in prime cure, aveva tuttavia rigettato l’opposizione, negando la validità del distacco dall’impianto centrale e reputando, di contro, legittima la delibera dell’assemblea del condominio con la quale era stato proibito al condomino di continuare a mantenere la propria unità immobiliare “separata” dall’impianto centralizzato: in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dal condominio, peraltro, il tribunale romagnolo aveva altresì condannato la parte attrice/opponente al ripristino del collegamento del proprio impianto di riscaldamento a quello condominiale.
La decisione assunta dal giudice di prime cure fondava sostanzialmente sul rilievo che il distacco fosse avvenuto in assenza di comunicazione preventiva agli altri condomini, nonché sulla base delle emergenze della consulenza tecnica d’ufficio, donde emergeva come il distacco operato non rispettasse i requisiti normativi, difettando i presupposti di cui all’art. 1118 c.c. nonché alla disciplina regionale (in particolare la l. r. Emilia Romagna n. 156/2008, come modificata dalla delibera di Giunta regionale n. 1366/118), per non essere stato l’impianto autonomo realizzato a norma.
Tale decisione, confermata dalla Corte di appello di Bologna, è stata, invero, ribaltata dalla Corte di legittimità con il provvedimento in esame.
Invero, l’art. 1118 c.c., il cui comma 4 è stato aggiunto dalla legge n. 220/2012 di riforma del diritto condominiale, si occupa della rinunzia del condomino all’impianto centrale di condizionamento dell’edificio condominiale.
L’installazione in questione rientra tra i beni e servizi comuni di cui all’art. 1117, n. 3 c.c., ma l’originaria formulazione del codice civile non contemplava espressamente la possibilità di rinunziare ad essa, tanto da porre problemi di ammissibilità della stessa in passato.
Un primo indirizzo, longevo, non consentiva, infatti, il distacco dall’impianto ai condomini, ritenendo che esso finisse per incidere negativamente sulla destinazione della cosa comune, causando uno «squilibrio termico» (Cass. Civ., n. 6269/1984). Di diverso tenore la lettura evolutiva della giurisprudenza successiva, che ha riconosciuto ai singoli condomini la facoltà di sganciare la propria unità immobiliare dall’impianto centralizzato condominiale, senza bisogno di autorizzazione dell’assemblea o dell’amministratore, previa dimostrazione della assenza di aggravi di spese per gli altri condomini, né di squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio (Cass. Civ., n. 5974/2004; Cass. Civ., n. 6923/2001). Nondimeno, il distacco era comunque consentito quando, pur in mancanza di tali condizioni, fosse comunque intervenuto il nullaosta dell’assemblea, eventualmente modificando gli obblighi gravanti sui compartecipi in base al regolamento di condominio (Cass. Civ., n. 6269/1984, cit.), ovvero quando tale possibilità fosse stata contemplata dal regolamento di condominio.
Anche il dato positivo suffragava la soluzione pretorile favorevole al distacco, come si evince dall’art. 1, lett. l), del d.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 (contenente il “Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4, comma 4, della legge 9 gennaio 1991, n. 10”), che espressamente conferiva il potere di installare un impianto termico a risparmio energetico previo distacco dall’impianto centralizzato.
La formulazione attuale dell’art. 1118 c.c. recepisce questa parabola interpretativa, e prevede ora che “Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.
Il Legislatore bilancia, così, due opposte istanze, ricorrendo la logica tipica del condominio di dialogo tra autorità e libertà: quella del condomino di realizzare in autonomia un proprio dispositivo di riscaldamento/condizionamento e quella del condominio di non patire squilibri “notevoli”.
Peraltro, a conferma della importanza di questo potere di rinunzia, la giurisprudenza consolidata è ormai ferma nel ritenere norma imperativa il comma 4 dell’articolo 1118, nella parte in cui esso vieta al regolamento condominiale di proibire la rinunzia all’impianto centrale, pur se non derivino aggravi: evidenzia in proposito la Corte di Cassazione che “è nulla, per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune, la clausola del regolamento condominiale, come la deliberazione assembleare che vi dia applicazione, che vieti in radice al condomino di rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento e di distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune, seppure il suo distacco non cagioni alcun notevole squilibrio di funzionamento né aggravio di spesa per gli altri partecipanti.” (Cass. Civ., n. 24976/2022).
Secondo l’interpretazione del giudice di legittimità, infatti, la disposizione regolamentare che contenga un incondizionato divieto di distacco si pone in contrasto con la trama normativa intessuta da diverse disposizioni: l’art. 1118 c.c. secondo l’attuale formulazione, l’art. 26, comma 5, del d.l. n. 10/1991 e l’art. 9 comma 5, del d.lgs. n. 102/14.
L’insieme di queste disposizioni lascia trasparire la finalità di perseguire interessi superiori, quali l’uso razionale delle risorse energetiche ed il miglioramento delle condizioni di compatibilità ambientale, e sarebbe perciò nulla o “non meritevole di tutela” una clausola che il distacco vietasse tout court (Cass. Civ., n. 24976/2022, cit.).
Orbene, tanto premesso, quanto alle condizioni di legittimità del distacco, che in questa sede rilevano, l’ordinanza in commento si allinea alla giurisprudenza consolidata che, come visto, già prima riconosceva entro certi limiti il potere di separazione. In particolare, come emerge anche dalla recente giurisprudenza di merito (Trib. Torino, n. 3265/2021), in tema di distacco dal sistema di riscaldamento centralizzato nei condomini possono essere individuate tre ipotesi: a) distacco unilaterale, quando l’interessato abbia dimostrato che dal distacco non siano derivati né aggravi di spese per i residui fruitori dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio; b) autorizzazione dell’assemblea dei condomini al distacco, eventualmente modificando gli obblighi gravanti sui compartecipi in base al regolamento di condominio; c) possibilità di distacco espressamente consentita dal regolamento di condominio.
Non è quindi necessaria una delibera assembleare che autorizzi preventivamente il singolo condomino al distacco, quando questi faccia valere l’ipotesi di cui alla lettera a) (distacco, cioè, nella ricorrenza dei presupposti tecnici richiesti dalla legge (ragionevolmente, gli interpreti in tal caso onerano chi aspira all’autonomia del sistema di riscaldamento/raffreddamento di provare i presupposti richiesti dalla norma di cui sopra, giacché nei casi b) e c) sopperisce alla prova in questione la valutazione positiva del corpo assembleare).
Facendo tesoro delle acquisizioni giurisprudenziali consolidate, il giudice di legittimità, bollando la motivazione dei giudici di merito come “apodittica”, ha dunque ritenuto, che, aderendo al ragionamento dei giudici di merito, si finirebbe per non riconoscere mai, in concreto, la legittimità del distacco. La sola mancata procedimentalizzazione della pratica per il perfezionamento del distacco, e la omessa regolarizzazione dell’impianto autonomo realizzato, non rivestono, insomma, alcun rilievo ai fini della validità della separazione: il completamento del distacco da un lato, nonché la regolarizzazione amministrativa del nuovo sistema dall’altro, non sono condizioni di legittimità richieste dall’art. 1118, comma 4, cit., trattandosi di circostanze che potrebbero, al più, incidere sulla regolarità amministrativa ovvero su altri aspetti della vita condominiale, ma non certo ai fini della legittimità della separazione.
L’unica cosa che conta, nella specie, è verificare, piuttosto, nello specifico “la mancanza di squilibri tecnici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio e gli eventuali aggravi di spesa per i rimanenti condomini scaturenti dal chiesto distacco” (Cass. Civ., n. 25559/2023), profilo su cui la motivazione della sentenza impugnata è stata, invece, carente.
D’altro canto, per concludere, la realizzazione di impianti autonomi ha certamente un impatto positivo nell’ottica dell’efficientamento energetico, sicché non sarebbe opportuno concedere all’interprete desumere, in via esegetica, limiti ulteriori rispetto a quelli fissati dall’art. 1118, comma 4, c.c..