Il caso. I residenti di un immobile, reputandosi pregiudicati dai fumi emessi dalla caldaia condominiale di un fabbricato vicino, posta ad un’altezza inferiore a quella prescritta,ricorrevano al giudice amministrativo al fine di ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo che ne aveva autorizzato l’installazione. Peraltro, i ricorrenti segnalavano che il Comune aveva in precedenza già adottato: un provvedimento di demolizione del manufatto contestato – impugnato dal Condominio contro interessato nella presente controversia; un provvedimento di diniego di una SCIA in sanatoria; un successivo provvedimento di demolizione d’ufficio. Inoltre, su sollecitazione dei ricorrenti, la ASL aveva invitato l’Amministrazione comunale a verificare l’adeguatezza delle caratteristiche della canna fumaria –raccomandazione cui non era seguita alcuna nota di riscontro da parte del Comune. Il provvedimento di concessione impugnato era stato infine emesso in sede di riesame di una DIA in sanatoria: i ricorrenti – che erano peraltro venuti a conoscenza di tale atto concessorio solo a seguito di un accesso agli atti – lamentavano che il Comune si fosse basato esclusivamente su di una autorizzazione paesaggistica in sanatoria rilasciata al Condominio, senza ulteriori verifiche.
La decisione del Tribunale. Il giudice ha prioritariamente rammentato che l’art. 64 del richiamato Regolamento di igiene del Comune di Roma stabilisce che i fumaioli debbano essere elevati, nelle città e nei centri abitati, al di sopra del fabbricato; nell’ipotesi in cui quest’ultimo sia più basso degli edifici contigui, i condotti dovranno essere prolungati sino ad un’altezza che eviti danni o disagi ai vicini.L’illegittimità di condutture che fuoriescano ad una quota inferiore trova, peraltro, ulteriore e successiva conferma nella legislazione nazionale – di cui l’ente locale non può evidentemente non tenere conto: il DPR 26 agosto 1993, n. 412, come succ. modif., ossia il Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, stabilisce, all’art. 5, che «Gli impianti termici siti negli edifici costituiti da più unità immobiliari devono essere collegati ad appositi camini, canne fumarie o sistemi di evacuazione dei prodotti di combustione, con sbocco sopra il tetto dell’edificio alla quota prescritta dalla regolamentazione tecnica vigente». (TAR, sez. II bis, 5 luglio 2017, n. 7862)
Nella controversia in questione, le prescrizioni in termini di quota di fuoriuscita delle canne fumarie sono ampiamente violate, dal momento che lo sbocco avviene a soli 2.5 mt. dal livello stradale in presenza di palazzine di quattro piani, oltre attico e superattico; di conseguenza, le abitazioni dei ricorrenti sono concretamente esposte alla possibilità di immissioni nocive di fumo.
Del resto – ricorda il Tribunale – la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in riferimento al citato art. 64 del Regolamento comunale d’igiene”, aveva affermato come detta disposizione miri proprio ad evitare immissioni nocive o comunque disturbi a terzi; e aveva precisato: «laddove […], per la peculiare configurazione architettonica a scaloni, lo stabile abbia due o più di copertura di diverso livello, le canne fumarie debbono innalzarsi oltre l’ultimo piano al fine di evitare immissioni nocive a terzi» (Cons. Stato, n. 5474/2011).
L’Amministrazione comunale ha omesso di procedere ad una scrupolosa verifica dell’osservanza delle prescrizioni applicabili nel caso di specie, accertando le peculiarità dell’intervento così come realizzato; e il provvedimento concessorio è risultato di conseguenza carente in punto di motivazione: il Comune avrebbe dovuto dar conto nel medesimo atto delle risultanze di un procedimento istruttorio, nella fattispecie non eseguito.
All’annullamento dell’atto è quindi seguita la condanna del Comune alle spese giudiziali.